RECENSIONE su ZoomSud

La recensione di Maria Franco su ZOOMsud

«Cosma Pascale morì di setticemia all’età di diciassette anni, alle sedici e quaranta di un pomeriggio del novembre del 1927.» Una fine ingiusta causata da un aborto imposto dalla piissima “padrona”, sempre presente alle funzioni in chiesa, per “cancellare” la violenza perpetrata dal di lei marito nei confronti di una “serva” bellissima – «aveva un viso da zingara con lunghi riccioli neri, la pelle chiara e gli occhi grandi, morbidi come uva fragola matura» – che aveva sogni semplici e tenere attese per il suo futuro. Lo spirito di Cosma, rimasto in casa a torturare per anni lo stupratore, dopo la morte di lui, s’era messo a correre per le vie di Sovara: e i vecchi del paesino dell’appenino calabro raccontavano che si rivelasse soprattutto quando il vento era più forte e tempestoso.

Anni dopo, Cettina cresce nella costante presenza di Cosma, fantasma inquietante e abbraccio rassicurante: «Quella presenza finì per seguirla e spesso le aggrediva la mente in relazione alle cose più improbabili. E se all’inizio furono i temporali, poi cominciarono ad essere le bambole che questa disperata non doveva aver avuto. O il pane, quando usciva caldo dal forno, o la mela strappata dal ramo e mangiata a morsi.»

È una famiglia, quella di Cettina, in cui ipocrisia, violenza, incapacità di mostrare amore, parole rapprese, sviluppano un malessere che le produce un unico desiderio: scappare, come voglia di fuga le induce il paese, troppo immobile rispetto al suo bisogno di orizzonti larghi. Partendo per Milano, lascia un unico affetto: l’amica Tilde, cui racconta in seguito non poche bugie perché la vita che costruisce nella grande città non è quella di grande artista che aveva sognato di realizzare.

Solo dopo decenni, quando le circostanze la costringono a lasciare Milano, Cettina torna a Sovara – è il 18 giugno del 2012 – e, insieme a Tilde, affronta la verità su se stessa, la sua famiglia, la famiglia dell’amica. E la casa, che le era nemica, e il paese che le era estraneo, diventano i luoghi in cui l’esistenza, nonostante tutto, può rifiorire.

Pietra Luna, edito da A&B di Daniela Grandinetti – nata a Lamezia Terme, dove è tornata a vivere dopo trent’anni passati tra Firenze e la campagna mugellana – è un romanzo dalla storia coinvolgente e dal linguaggio scorrevole, i cui toni delicati danno risalto ad una vicenda che non manca di durezza e anche di asprezza.

Cettina e Tilde sono due amiche, il cui affetto non viene meno con la lontananza e neppure nei momenti di “rottura” e che mostrano anche due aspetti del rapporto con la Calabria: la “partenza” e la “restanza”. Cettina, in conflitto con se stessa oltre che con la famiglia, lascia Sovara, senza riuscire a centrare i suoi obiettivi a Milano e, di bugia in bugia, costruisce, di se stessa, un falso personaggio. Tilde, che più facilmente si adegua al ruolo di moglie e madre e si adatta ai limiti economici e sociali (il lavoro da bidella, la vecchia casa riadattata) rimane in Calabria. Entrambe, però, sono misteriosamente legate alla storia delle donne del paese attraverso il riferimento a Cosma, quasi un mito della loro infanzia che continua ad accompagnarle anche dopo che hanno superato la cinquantina. Cosma – personaggio indimenticabile (il racconto delle sue vicende è un piccolo romanzo) – è, per loro, quasi un genus loci, che, nonostante i colpi della vita e la cattiveria delle persone, continua a parlare ai loro cuori attraverso la bellezza della natura. Fiori, piante, boschi e cascate dicono «di infanzia e di meraviglia. Di bellezza e solitudine. Di innocenza e difesa.»: «“Noi non muoviamo un passo senza essere sicuri di quello che facciamo – disse Tilde fissando un punto nel cielo – invece dovremmo muoverci, andare, ma non andare con una valigia in mano e un mezzo di trasporto qualsiasi, per quello sono buoni tutti. Andare, senza timore, usando le gambe e il cuore. Perfino a Sovara, che ormai sembra dimenticato da dio e dagli uomini, guarda che paradiso esiste.” Era vero, pensò Cettina, la meraviglia può non avere a che fare con gli uomini, forse è una faccenda di dio, se ci credi.»

*Daniela Grandinetti, Luna Pietra, A&B editrice, pp.162, euro 18

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http://www.zoomsud.it/index.php/cultura/108688-la-recensione-luna-pietra-daniela-grandinetti-a-b-editrice

OPERE (D’ARTE)

È difficile scrivere di questo libro di Marino Ciano Itinerario della mente verso Thomas Bernhard.

La domanda potrebbe sorgere spontanea: allora perché lo fai?

Risposta: per il bisogno di parlarne.

È un’opera indefinibile: non è un romanzo, non è un giallo, non è un saggio, non è uno studio critico ed è tutte queste cose insieme.  

Ho finito di leggere queste settanta intense pagine nel cuore della notte e sono rimasta intontita, come se qualcuno mi avesse preso per le spalle e scosso dicendomi: “svegliati”. E io lo guardassi dritto negli occhi con un punto interrogativo nelle pupille che invece chiedeva: “e adesso?”

Ho provato a razionalizzare i pensieri, a uscire dal fiume in piena del flusso delle parole dell’itinerario che avevo percorso senza mai un punto fermo, e confesso che ho avuto difficoltà ad emergere.

Credo perché non volessi uscire da quello stato di straniamento e non volessi in alcun modo riappropriarmi della dimensione reale degli oggetti: la lampada accesa sul comodino, le gocce che prendo per dormire, la coperta che tiene al caldo.

Tutto in aperta lotta e contraddizione con lo spirito del quale queste pagine sono intrise.

Così, in modo insolito, ho afferrato il cellulare e ho scritto un messaggio all’autore. Più che un messaggio era una richiesta: aiutami a uscire fuori da qui, ma anche dimmi come posso rimanere qui.

Dove tu mi hai portato.

Una vertigine, la stessa che si può provare di fronte a una scultura gigantesca e perfetta e tu sei lì, piccola, che ti chiedi com’è possibile che una mano umana abbia riprodotto quell’espressione dolente, vera, quelle pieghe della tunica, quel nitore accecante, tali da far tremare?

Non scrivo recensioni, non m’importa fare esercizio di erudizione e raccontare ciò che Martino Ciano ha raccontato in sole, ripeto, settanta pagine di altissima intensità.

Mi basta aggiungere tre parole:

ANTICONFORMISMO: un’opera gioiosamente sprezzante delle regole dell’architettura narrativa e delle leggi del mercato editoriale che confezione spesso centinaia di belle storie infiocchettate che bevi come una tisana per qualche minuto di fluttuante benessere e scivolano liquide senza lasciare traccia.

LIBERTA’: libertà di esprimersi secondo ciò che questo vuol dire per un autore capace di “creare” da un blocco informe e insignificante un’opera d’arte secondo la visionarietà che è propria dei grandi artisti.

SPERIMENTAZIONE: affine alla prima, ovvero non lasciare che a guidare la mano siano i gusti e le aspettative degli altri, ma la propria legittima (e sacra) visione della vita e soprattutto della scrittura.

Detto ciò auguro a quest’opera di Martino Ciano tutta l’attenzione che merita, per la sua leggerezza e profondità.

Lascio dei link per chi volesse leggere delle vere recensioni.

Io, rimango seduta nella stanza con il camino:

Eppure noi non siamo mai il nostro nome e il nostro cognome, ma siamo solo un passaggio vitale che ha bisogno di essere riconosciuto”.

In una notte insonne, io ho visto un uomo seduto in una stanza con il camino, un individuo che aveva le mie sembianze, sembianze che erano simili alle tue, ho sentito delle voci e ho avuto delle visioni, e ho messo insieme le cose e le ho scomposte in parole, e poi ho sentito il bisogno di bruciare tutto ciò che avevo scritto e di lasciare che fossero i miei pensieri a tormentarmi, perché una volta trascritti essi non mi tormentano più, e siccome io amo il tormento più della quiete, più della felicità, più dell’amore, ho scelto di pensare e di astenermi dalla scrittura”.  

https://corrierefiorentino.corriere.it/notizie/cultura-e-tempo-libero/22_dicembre_19/un-percorso-che-e-nella-testa-dello-scrittore-e-del-lettore-760776eb-160b-4fd4-b2ca-cbba9b167xlk.shtml

https://glicineassociazione.com/itinerario-della-mente-verso-thomas-bernhard-martino-ciano/

L’AUTORE

MARTINO CIANO

 

Martino Ciano (1982) è giornalista e direttore responsabile di DigiesseNews, testata giornalistica dell’emittente radiofonica Radio Digiesse di Praia a Mare. Vive a Tortora, primo paese dell’alto Tirreno cosentino. Scrive di letteratura e filosofia sulle webzine L’Ottavo, Zona di Disagio, Gli amanti dei Libri, Suddiario, Libroguerriero e sul suo blog BorderLiber. Nel 2018 il suo esordio letterario con Zeig, cui ha fatto seguito Oltrepassare

L’OPERA

Descrizione

Una famiglia che vive nei propri incubi. Un uomo che dialoga con il suo Thomas Bernhard immaginario. Un mondo che inizia e finisce tra le pareti di una stanza con il camino. La vita esiste anche oltre la vita, suggerisce il narratore, colui che inventa e che fa incontrare i suoi personaggi, che giustifica e falsifica le proprie emozioni… e poi quando nulla esiste per davvero, tutto è perfetto e senza macchia… proprio per questo motivo ogni itinerario verso la salvezza è possibile, così come ogni vita non è del tutto confessa bile… d’altronde noi siamo veri nei nostri segreti e nei nostri silenzi.

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