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Un romanzo tsunami
Nella foto un libro, l’ho scattata io: vi mostra romanzo e un segnalibro importante, un oggetto al quale tengo molto.
Entrambi, libri e segnalibro, sono “importanti”: due oggetti impegnativi, laddove impegnativo ha un’accezione di consistenza.
Mi spiego: nell’era dell’usa e getta, anche i libri spesso riflettono questo modo di esistere e rapportarsi con cose e persone, niente dura o deve restare. Passa e va.
Impegnativo può essere un aggettivo che spaventa, che respinge: sbagliato, sbagliatissimo, molto sbagliato, infinitamente sbagliato. Ciò che ha consistenza rimane, non va via il giorno dopo o la settimana dopo.
Io so perfettamente che quando guarderò nella libreria la copertina di questo libro, ne ricorderò il segno che mi ha lasciato, mentre di altri, e parlo di romanzi che magari sono stati o sono in cima alle vendite, non ricordo neanche la trama.
Il giorno in cui abbiamo pianto di Gianfranco Cefalì vorrei raccontarvelo con un’onomatopea: che rumore farebbe un coltello che affonda nel cuore? Se potessi è quel rumore che vorrei riprodurre, con consonanti e vocali, ma non trovo una combinazione efficace.
La cosa due volte sorprendente è che questo è un esordio: il primo romanzo dell’autore, che invece ha una penna da scrittore navigato.
“La stratificazione della memoria funzionava bene, poteva scegliere quale paura usare, poteva aprire e chiudere i cassetti del dolore con facilità disarmante, quello che non funzionava a dovere, era quel meccanismo di rimozione che la mente umana a volte usa senza chiedere permesso per rimuovere lo strazio delle complicanze della vita”
Scrittura che senti sulla pelle, che ti parla, che parla anche di te.
La storia non ve la racconto, non è necessario, anche perché la terza cosa sorprendente è che l’autore vi sfida, non teme di sperimentare, di usare la storia a suo piacimento non per compiacervi, ma per colpirvi, voi, comodamente seduti nella vostra poltrona, accoccolati nel vostro letto caldo, siete costretti a sobbalzare per la violenza, il termometro che misura la quantità di dolore e di reazione al dolore sale e scende e investe anche la vostra temperatura corporea, la vostra reazione fisica alla pagina scritta, perché fisica è le scrittura, frastagliata da pause liriche:
“.. mi siedo sul letto, sta aprendo gli occhi, ciao pa’, sto piangendo ma non me ne frega niente, gli stringo la mano, all’inizio forte, troppo forte, quasi la ritiro per fargli male, ha uno sguardo bellissimo, gli sorrido, mi dice di avvicinarmi, mi vuole dire qualcosa, è arrivato il momento mi dice, è arrivato il momento di raccontarmi qualcosa”.
Il giorno in cui abbiamo pianto non è un esordio, è uno tsunami destinato a colpire ovunque si fermi. Qui sta la potenza della scrittura quando è temeraria e non vi teme. Il vostro o il mio giudizio hanno poca importanza: sarete la maschera seguente legata al filo delle altre sull’immagine di copertina.
Tutto il bene a Gianfranco Cefalì e in bocca al lupo a questo romanzo potente.
Agli sguardi che si riconoscono
Gianfranco Cefalì, Il giorno in cui abbiamo pianto, Dialoghi
Recensione di Gianfranco Cefalì a Le mani in tasca
Gianfranco Cefalì, scrittore (Il giorno in cui abbiamo pianto, Dialoghi) e redattore letterario ha letto Le mani in Tasca
Magnetica. La scrittura di Daniela Grandinetti è attrattiva. Un po’ come quando da bambini si giocava con le calamite, sentire quel click improvviso dopo aver giocato con gli opposti restituiva soddisfazione. Attrazione, ma anche leggerezza, levità che non corrisponde a vacuità, infatti di senso sono fatte le parole scritte dall’autrice. Daniela Grandinetti sa fare bene quello che fa, ovvero: scrivere. Due storie che si creano parallele intersecandosi e divergendo, attraverso uno dei periodi più bui dell’Italia contemporanea, Oriana e Dario — inutile soffermarci sui rimandi dei nomi — nel pieno degli anni di piombo, la strategia della tensione, che culminarono con la strage di Bologna del 2 agosto 1980. Entrambi provengono da realtà diverse ma simili, piccoli paesini di provincia, entrambi considerati ai margini delle loro società per motivi, che scopriremo durante la narrazione, completamente diversi, ma che in qualche modo ne accomuneranno il vissuto fin dalla tenera età. Il terrorismo e le brigate rosse fanno da sfondo in primissimo piano, mi passerete l’ossimoro, ma i punti focali del libro sono molti, supportano tutta la trama e fondano le basi per gli innumerevoli spunti che offre.Quello su cui mi piace soffermarmi è il concetto di corpo. Uno degli ultimi libri che ho letto è stato “Tra me e il mondo” di Ta-Nehisi Coates, in questo bel libro l’autore scrive una lettera al figlio ormai adolescente, spiegandogli le difficoltà di essere afroamericano negli Stati Uniti, e si concentra sul concetto di corpo. Qui il corpo è qualcosa che va difeso con tutte le forze, perché è proprio questo che è messo a repentaglio e che sarà messo sempre in pericolo durante la sua vita. Prima che della sua anima il figlio dovrà sempre occuparsi del suo corpo. Il corpo in Daniela Grandinetti viene usato in maniera simile, anche qui è qualcosa da proteggere, ma non da una nazione fondamentalmente razzista, da qualcosa di più sottile, strisciante. Un corpo che si lascia anche guardare, ma non toccare, che non è mai in pericolo, perché diviene barriera invalicabile, una sorta di muro da mettere tra Oriana e il mondo, corpo che si fa statua fissa senza emozioni, che non vuole manifestare umanità, che viene messo in secondo piano dall’ideologia, corpo che rinnega gli istinti, le pulsioni, che in realtà si trasforma in macchina pronta all’azione per uno scopo più grande, almeno nella testa della protagonista. Oriana protegge il suo corpo per proteggere se stessa dalle deviazioni che il desiderio potrebbe comportare. Corpo che invece si trasforma, si libera dai pesi della mente quando la protagonista è sulla scena, infatti Dario è un regista teatrale e lei un’attrice. Qui il corpo libera quelle emozioni che tanto reprime, si fa guardare in modo diverso, trasforma Oriana in qualcosa di altro, lontano, qualcosa che a un certo punto della storia le fa paura e scapperà dal teatro dopo una performance intensa e bellissima. Anche Dario fa i conti con il suo corpo, anche lui reprime in nome di un sentimento assoluto, anche lui è impaurito e soffoca quei sentimenti per rispettare la figura ideale di Oriana. Naturalmente, come scrivevo prima, gli spunti di riflessione sono tanti, ma per affrontarli dovrei per forza rivelarvi troppe cose, e non mi sembra giusto, questo libro va letto. Perché vi dovrei parlare di azioni che vengono giustificate da un fine più grande, di azioni che vengono considerate giuste nonostante tutto, dell’utilità di alcune azioni alla luce del mondo e della società in cui viviamo, del pentimento e della redenzione…