MIMI’ E LA ROSA

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Una notte d’inverno, qualche mese fa, mi sono svegliata sulla scia di un’intuizione, a volte mi capita, forse legata a qualche sogno, va’ a sapere: ho “visto” l’inizio di uno spettacolo su Mia Martini, alcune donne al centro della scena.
Tre sere dopo su Rai3 va in onda uno speciale su Mia Martini, molto bello. Quella sera mi sono convinta avrei dovuto farlo: scrivere un testo.
Ho iniziato, ho fatto ricerche, ho scritto, poi la chiusura dei luoghi condivisi mi ha bloccato, mi sembrava non avesse più senso, anche se quella cosa che chiamiamo ispirazione è stata forte, come una spinta verso di lei, Mia persona.
Se cercate delle foto di Mia Martini in alcune appare bellissima, in altre è l’esatto opposto, quasi brutta, “sgangherata”. In alcune è scarmigliata in altre è così composta da risultare falsa.
Se leggete la storia di Mia Martini è stata quella di una rivoluzionaria negli anni ’70, poi da adulta approdata a Fini, un’amicizia o chissà, una voglia di essere contro gli altri o sé stessa.
Legata alla sua città, Bagnara, ci tornava sempre, si definiva una bagnarota orgoliosa perché quel luogo, come lei stessa è diventata, era figlio di una leggenda:

C’era un pastore dell’Aspromonte, sai è una montagna che va a picco sul mare, questo mare dove si pesca il tonno e il pesce spada. In questo Aspromonte vive questo pastore che si chiama Gaziano. Un giorno, mentre sta riposando, si mette a suonare un flauto fatto da lui con un ramo di castagno. Poi, si addormenta sotto un albero e improvvisamente viene svegliato da una musica meravigliosa. Guarda verso la fine della roccia che va giù profonda, perché siamo in alta montagna, da dove si vede uno scorcio di mare, dal quale esce una Ninfa bellissima.  Lui si innamora pazzamente di questa Ninfa, la quale poi sparisce nelle acque. Gaziano cerca di richiamarla ma non riesce a farla riaffiorare e allora va a cercarla. Scende dalla montagna, si costruisce una zattera, va al largo e finisce nelle montagne del Dio Eolo, il Dio dei Venti. Rimane sette anni con lui, che gli insegna tutti i segreti dei venti e del mare, Trascorsi questi sette anni, Gaziano continua il suo viaggio e approda nell’antro della Maga Circe, alla quale racconta il suo dolore e le dice che sta ancora cercando ancora questa Ninfa meravigliosa e Circe gli svela che quella Ninfa è un’ancella della Dea Teti, la Dea Dei Mari.Gli spiega come deve fare per evocarla e chiederle di fargli vedere di nuovo il suo grande amore. Gaziano ritorna sull’Aspromonte, fa questo rito e finalmente riesce a rivedere la sua Ninfa. Questa riaffiora dalle acque cantando una dolcissima melodia e lui può finalmente svelarle tutto il suo amore. La Ninfa non rimase molto toccata da questa storia stupenda e gli dice che non le interessa assolutamente di essere amata da lui e sparisce di nuovo nel mare.  A questo punto, Gaziano impazzisce dal dolore, comincia a piangere e si piega sulle ginocchia e piange, piange talmente tanto che si trasforma in acqua e poi in un torrente pazzesco, che va ad inondare questa montagna. Finalmente riesce a scendere giù e si fonde proprio nel mare, riuscendo così a raggiungere la sua Ninfa. E’ proprio lì, in quel punto, dove le sue lacrime si congiungono con il mare, che nasce Bagnara.”

E’ il suo primo disco che mi piacerebbe raccontare: un disco censurato, (Padre davvero), un disco poetico e dissacrante, dove si narra di amore e di stupri. Un disco al quale collaborarono Claudio Baglioni (che nessuno ancora conosceva) con testi scabrosi e assolutamente nuovi per i tempi (Amore un corno) e canzoni con testi suoi su musiche di Cat Stevens (Nel rosa)

Chissà come è morta Mia, me lo sono sempre chiesta: se accidentalmente o semplicemente perché stanca. Per scegliere di morire ci vuole un amore per la vita che non tutti possono provare, ci vuole molto coraggio per fermarsi e dirsi: sono stanca, ho vissuto, me ne vado. E svanire così.

Mimì e la rosa. Bella, bellissima, a volte appassita, con le sue spine.

Una dieci cento Mimì, sarebbe stato il titolo dello spettacolo, con tanti cappelli di paglia a un attaccapanni, uno per ogni Mimì.

La vergine e il mare, dall’album Oltre la collina, 1971 (brano censurato)

Il gufo tre volte cantò.
Col vento la porta si aprì.
La bianca candela morì in un
momento.
Due occhi guardavano me.
In gola il mio grido fermai.
Son solo una donna,
tentai di fuggire.
La veste, ridendo, strappò.
Un vergine petto scoprì.

E pregando gridavo pietà.
Mi prese dai fianchi,
piegò la mia schiena.
Fu, fu su di me.
Dalla nuda parete il quadro dei
Santi e Dio, Dio mi maledì: mi
piacque giacere con lui.
Il gufo tre volte cantò.
Col vento la porta si aprì.
Le alghe sui piedi, la schiena
possente.
Nel mare in tempesta svanì.
Nel mare in tempesta svanì

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