
Khalim è un ragazzino di 16 anni di terza C. Due settimane fa lo abbiamo sospeso per tre giorni a seguito di un grave episodio avenuto proprio durante una mia lezione: si è scagliato contro un compagno con una rabbia piuttosto cattiva. Nonostante io e i compagni ci fossimo precipitati a trattenerlo ha finito per lanciare una sedia contro il ragazzo, che – va detto – proprio malcapitato non era, visto che la provocazione era partita da lui.
Era da tempo che avevo percepito che tra Khalim e Franco non correva buon sangue, pare fosse un rancore covato fin dallo scorso anno che quel giorno ha trovato la miccia per esplodere.
Khalim è un ragazzo maghrebino con due occhi neri come il carbone e un sorriso bianco e bellissimo. Magro da far paura gioca a calcio in una giovanile, credo gli piaccia molto. Ho visto che a scuola non è molto integrato e anche durante l’intervallo stanno i soliti tre (marocchini tutti) sempre insieme.
Lunedì in questa classe mi avevano chiesto di parlare di ciò che è accaduto a Parigi. Avevo cercato e trovato un racconto di una scrittrice algerina che faceva al caso (la storia di una donna araba e musulmana che perde il marito giornalista a causa di un attentato per mano di un integralista islamico)
Arrivo in classe alla sesta ora e mentre sto per dare inizio alla lezione, mi viene un’idea.
“Cosa sapete di islam, di musulmani?” esordisco.
Muti tutti, come temevo.
“Beh allora oggi la lezione non la faccio io, la farà Khalim, visto che abbiamo la possibilità di farcelo spiegare da uno che l’islam lo conosce.”
Khalim è colto ovviamente di sorpresa, fa un po’ di storie, si rifiuta, ma è chiaro che ha solo timore. Ciò che accade dal momento in cui si posiziona a fianco della lavagna per la sottoscritta è uno di quei miracoli che a scuola possono accadere e ti aprono porte, portoni, cancelli e cancelletti.
Qui provo a raccontare quello che è successo.
Io vado a sedere tra i ragazzi, per rompere il ghiaccio faccio domande.
Khalim inizia a parlare di Corano, ci ha raccontato dove lo ha imparato e come, nonostante durante i cinque anni di scuola elementare passasse i pomeriggi in una scuola coranica (e mi rompeva le palle – dice- che volevo giocare a pallone) non lo conosce abbastanza. Si professa musulmano, ma non un buon musulmano perchè sa di avere una testa calda, ma dice anche che sa benissimo che tornerà là dove è partito, perché la preghiera per i musulmani è una sorta di salvezza quotidiana (altro che droga e alcol, aggiunge). Ci ha detto che – pur non sapendo spiegare come – quando prega si sente in pace, sereno, perché pregare non è mai a vuoto, o per chiedere, si prega con un obiettivo e quasi sempre ne deriva una sorta di benessere.
Khalim infarcisce la sua lezione di termini dialettali calabresi e di parolacce, il miscuglio è divertente, e forse è proprio questo che rende la sua lezione più abbordabile anche per i ragazzi che lo stanno ascoltando, per cui lo assecondo. Del resto oggi l’insegnante è lui.
Racconta che a Gizzeria, dove vive, la nuova moschea è bellissima, perché quella che avevano prima era un po’ squallida. Gli chiedo come l’hanno avuta e cosa ci fanno. Dice che l’hanno comprata con i contributi di tutti, che si trova in mezzo alle palme, che l’hanno dipinta di rosso e di giallo e che in moschea ci vai per pregare, leggere il corano, ma anche incontrare gli altri e parlare. Aggiunge che tutti possono andare e che è usata che come luogo di ricovero per chi non ha un posto dove dormire.
Un ragazzo chiede: “Ma quindi le moschee non sono solo quelle con le cupole dorate ….”
Lui spiega che le moschee possono essere dovunque e sono luoghi di preghiera, ovunque va bene.
Parla del Ramadan, che a volte è durissimo, specialmente quando fa caldo, però… “dopo le nove di sera mi scialo, specie se sono con gli amici, mangiamo da qui a là”. E con la mano disegna una traiettoria.
Poi ci scrive qualche lettera dell’alfabeto arabo, dice che è abbastanza difficile ma a lui riesce bene perché ha una bella mano anche per disegnare (il che è vero).
Ci parla con molto entusiasmo e calore del Corano, dice che ogni parola va studiata perché ha tanti significati e per conoscerlo bene devi studiare molto, che ha un buon ricordo del suo maestro.
Durante le lezioni sul corano di solito si studia in coppia: uno studia una pagina e l’altro un’altra pagina, devono impararlo a memoria, ma anche capirlo, poi dopo alla fine della lezione devono ripeterlo.
“E se qualcosa non va?” Chiedo io già pensando alle punizioni corporali che tante volte ho visto nei film o letto da qualche parte.
“Lo rifai finché non l’hai imparato. Ci vuole pazienza.”
I ragazzi stanno stranamente zitti, lo seguono, li esorto a fare domande, l’assenza di curiosità – è palese – è data dal fatto che di quel mondo di cui Khalim ci sta parlando non conoscono niente.
Sono io l’allieva più curiosa oggi, così chiedo se è vero che il Corano promette dieci vergini e le donne in paradiso.
Sorride. “No, dice. Una soltanto, che è così bella che noi però non possiamo immaginarla, ma è difficile, devi andare in paradiso per averla. Io sono sicuro che non ci vado”.
Ai kamikaze promettono le donne in paradiso! Ride di nuovo: “Perché secondo lei quelli vanno in paradiso?”
“E cosa mi dici del fatto che le donne nella vostra religione sono considerate male?”.
Dice che ad esempio il velo, da nessuna parte c’è scritto che una donna ha l’obbligo del velo, il fatto che molte lo portino o che siano picchiate se fanno qualcosa non dipende dalla religione , ma dalla famiglia che è antiquata, è dovuto alla mentalità.
Arriviamo al nodo.
E dell’ISIS che pensi?
E qui si incazza: dice che fa male per primi ai musulmani, che qualche giorno fa mentre passava con i due suoi amici davanti al linguistico dei ragazzi hanno detto: ecco l’isis. Che per colpa loro ci passano male tutti, quando l’Isis con loro non c’entra niente.
Spiega cosa voglia dire la sigla ISIS, che li prendono giovanissimi e gli fanno il lavaggio del cervello, che la maggior parte non ha neanche idea di chi sia il capo, il capo è un’entità superiore con cui non possono avere a che fare, quasi sacra. Devono ubbidire.
“E le armi?”
“Professorè e mi fati sta domanda? Cumu si chiamanu l’armi?” mi dice ridendo.
Boh…. Mi viene in mente il kalasnichov….
“Lo vede che sa la risposta?”
Le armi cioè è l’occidente che gliele dà, aggiunge che anche in Marocco, mica sarebbero così poveri, le ricchezze ci sono, ma gli affari li fanno per il petrolio, se no “com’è che siamo divisi dal Sahara… “ e disegna il confine del Marocco con una bella linea retta. “Chista ca’.. che ci fa?”
Io sono sempre più ammutolita. Guarda tu sto’ ragazzino che rompe sempre le palle…
“Ho visto certi filmati pirati dell’Isis – riprende – che fanno delle cose che non possono essere umane, bambini usati come armi, lanciati per aria. Io li ammezzerei tutti. Gli farei provare dolore. Schifo fanno. Anzi, io vorrei che venisse la terza guerra mondiale, così almeno vediamo se li ammazzano tutti.”
Faccio notare che la storia insegna che la guerra a distruzione e morte aggiunge distruzione e morte.
“Professorè, questi non li fermano, certe volte la guerra ci vuole” e mi spiega che secondo lui i morti in realtà già ci sono e pure la distruzione, ma almeno se venisse una guerra vera dopo si potrebbe ricominciare.
Poi, arriva pure la ciliegina sulla torta. La metafora. Anche se lui la chiama “esempio”.
“Avete presente un branco di pesciolini? I pesci piccoli seguono sempre il pesce grande. Se voi ammazzate il pesce grande, quelli si disperdono, se ne vanno ognuno per i fatti propri.”
“Kalhim non è che mi faresti una lezione così in quarta?”
“Io non è che non la voglio fare, ma se mi prendono in giro o qualcuno ride per quello che dico, io poi reagisco e piu a pugni ancunu. Se stanno quieti quieti magari sì.”
Sorrido. Non avrei mai detto…. Intanto si sono fatte le due.
“Professorè… ma la campana è suonata!!” Esclama Giuseppe.
E pensare che di solito fanno cartella un quarto d’ora prima e stanno pronti dietro la porta dieci minuti prima del suono della campanella.
Oggi invece usciamo per ultimi.
Noto che Franco si avvicina a Kalhim, è l’unico che gli ha fatto delle domande e delle battute mentre parlava. C’è una bella allegria che serpeggia, mentre scendiamo le scale.
Ho soltanto un rammarico: difficilmente riuscirò a condividere quello che è successo in quest’ora e “come” è successo con un qualsiasi collega. Soprattutto con quelli convinti che Khalim sia a un passo dal diventare delinquente.
Ma tant’è. Oggi mi bruco questa foglia di felicità.
E così sia.