Il tempo: qualche ora o qualche anno d’attesa è lo stesso, quando si è perduta l’illusione di essere eterno…

… scriveva Jean Paul Sartre ne Il muro: il tempo è protagonista del nuovo romanzo di Simone Innocenti, nel quale un gruppo di amici si ritrova per Capodanno nella villa sul mare di Giulio e Francesca, in Toscana, dove il naturale ritmo delle onde sembra essere lontano e a tratti irraggiungibile, pur essendo semplicemente “davanti”, e la montagna incombe “dietro” con la sua oscurità e gli antri segreti che a non conoscerli possono rivelarsi trappole fatali.

Ricchezza, eleganza, ipocrisia, traumi, segreti: ogni capitolo narra in terza persona la storia dei personaggi (tra gli altri un notaio, una modella, un commercialista disonesto, un insegnante di tennis, un’assicuratrice, un poliziotto, un rappresentante di lampadine, una donna in carriera) ognuno alle prese con il proprio demone: c’è chi ha appena saputo di avere un cancro, chi ha il vizio del gioco, chi è animato dal desiderio di rivalsa, chi ha aspirazioni omicide, chi si consuma d’invidia per la ricchezza degli altri, chi tradisce il proprio partner, chi spia, chi ricatta.

Nessuno di loro sembra essere mosso da umana comprensione: si sono trovati insieme sulle spiagge della Versilia quando erano adolescenti e insieme hanno percorso un pezzo di esistenza senza mai avvicinarsi davvero l’uno all’altro.

Il tempo domina la narrazione: una mano invisibile e fredda che decreta le azioni, il loro scorrere e il loro divenire durante un Capodanno che non sai mai se è l’inizio del nuovo o la fine del vecchio, che è realtà e finzione nello stesso tempo, quando siamo tutti a recitare sullo stesso palcoscenico, che è passato e futuro senza essere presente, che è il mare che non puoi prendere e il buio della montagna che invece può prenderti.

È la clessidra palindroma, perfettamente simmetrica nel suo andare e tornare, nei granelli che scorrono da una cavità trasparente all’altra e sono sempre gli stessi, inesorabilmente di ugual numero.

Capodanno è la “festa” della malinconia del passato, della lotta tra vecchio e nuovo, che in questo romanzo diventa una resa dei conti incastonata da una narrazione che procede per quadri intersecati con un ritmo pulito, asettico, drammatico, come il tempo che ci abbandona ad ogni secondo di attesa sprecato.

Simone Innocenti, dopo il felice esordio con l’originalità jazzistica dei sui racconti A puntazza (L’Erudita) che ho amato molto, il mare che mai penseresti possa esserci a Firenze (Firenze Mare, Giulio Perrone) e soprattutto Vani d’ombra, Voland,  ci regala un romanzo stilisticamente perfetto come un film di Luchino Visconti con la stessa ossessiva e appassionata ricerca di perfezionismo; disegna una ricca e media borghesia senza identità, alle prese con i suoi tormenti decadenti, tanto da essere, ciascuno nella propria esibizione, il riverbero dell’altro, in un affresco dipinto da un occhio esterno che a tratti svela la crudeltà di uomini e donne capaci di insospettabili azioni violente, con corpi voluttuosi che esprimono una sessualità morbosa e prepotente, rapporti lacerati da odio malcelato e invidia.

Un affresco dell’individualismo imperante in una storia impeccabile ed elegante.

Ho sempre pensato che il talento di uno scrittore si manifesta laddove costui è capace di sperimentare nuovi registri, nuovi percorsi narrativi e stili diversi: in un panorama letterario nel quale spesso accade che di un autore letto un romanzo equivale ad averli letti tutti, Simone Innocenti mantiene il suo occhio critico capace di guardare da punti di vista molto diversi ed essere nuovo e diverso ogni volta. In una parola: sorprendente.

Il romanzo di un cavallo di razza insomma: non lo dico io, da lettrice quale sono, ma il fiume di recensioni e attenzioni rivolte a questo romanzo.

La clessidra, ma come non averci pensato prima? È un oggetto palindromo perfetto, vive di vita propria, poco importa se tu la giri o meno; solo in quel momento – con quel gesto – la clessidra diventa una clessidra. E a rigirarla – cioè a farla tornare clessidra – quella fa sempre il solito percorso. È esattamente andata e ritorno al tempo stesso, la vita che non si ferma e che torna indietro.


Simone Innocenti, L’anno capovolto, Blu Atlantide

Simone Innocenti 

è nato  a Montelupo Fiorentino nel 1974, ha scritto Vani d’ombra (Voland), la guida letteraria Firenze Mare (Perrone), dopo aver esordito con Puntazza (Erudita). Suoi racconti sono apparsi in varie antologie. Si occupa di cronaca nera e giudiziaria e ha scritto per Il Corriere, La Nazione, Il Giornale della Toscana, Avvenire, L’Espresso e Sette. Attualmente lavora al Corriere Fiorentino, dorso regionale del Corriere della Sera e collabora con La Lettura.

Quando a scrivere è uno scrittore che ami e stimi (molto)

Quando ho letto questa inaspettata recensione uscita sul Corriere Fiorentino, confesso, mi sono tremate le vene e i polsi

«Le mani in tasca» (Augh edizioni, collana Frecce, 220 pagine) è il terzo romanzo di Daniela Grandinetti, nata a Lamezia Terme ma col cuore in Toscana, dove ha vissuto per molti anni e dove torna molto spesso. Tanto che l’autrice, nel corso della narrazione, incrocia i paesaggi del Mugello – e in particolar modo di Vicchio, dove la protagonista del romanzo maturerà il suo percorso umano – con quelli delle Calabria e di Bologna. Al centro di questo romanzo – scritto con mano felice – c’è Oriana, donna bellissima e sfuggente come solo le calabresi sanno essere. Oppressa da un’ambiente ostile Oriana si impone con la sua famiglia e decide di frequentare l’università di Bologna: è il periodo delle occupazioni studentesche, dei sogni e delle utopie di una generazione che negli anni Settanta fa sentire con prepotenza la propria voce. Una voce che porterà la protagonista a diventare un elemento delle Brigate Rosse e che, proprio per questa sua scelta estrema, sarà arrestata.

La Grandinetti procede come un romanzo di formazione. Da un lato di Oriana racconta l’immensa passione per il teatro, dove conoscerà Dario, timido e intellettuale che col tempo si innamorerà di questa donna così dolce ma dalla vita così difficile da inquadrare. Dall’altro ci sono appunto le vicende di Dario, un uomo che si mette in discussione ma pensa che il teatro sia la chiave di volta della Vita, oltre che un modo per restare in contatto con Oriana, impegnata a fare anche del teatro un’azione politica.

Lo snodo narrativo arriva nel momento in cui Oriana viene arrestata e passa 20 anni in carcere, dove ci è finita perché legata alle Br. E anche se la protagonista non ha mai sparato un colpo, nel percorso carcerario inizia a discutere con se stessa arrivando a un confronto, molto spesso – ed è un meccanismo azzeccato – figlio di contraddizioni. Sarà in Toscana – una volta che Oriana andrà dalla sorella – che tutto si ricomporrà. Il teatro tornerà a essere centrale nella sua vita dove – per uno stratagemma narrativo assolutamente felice – tornerà a vivere anche Dario, che nel frattempo è rimasto ucciso nella strage di Bologna.

Daniela Grandinetti firma una storia nuova che è al tempo stesso un grande affresco storico-politico degli ultimi 40 anni, ambientando nel carcere un racconto che ricorda per certi versi le atmosfere de “Le prigioni di Stato” di Aldo Braibanti e che rievoca certi personaggi alla Jenet. Nell’incedere della storia – scritta con lirismo e in maniera asciutta, quasi a togliere il superfluo della scrittura – si sente fortissima la presenza di un libro: “Il ragazzo morto e le comete” di Parise. Un bel romanzo, questo terzo romanzo della Grandinetti, che porta il lettore in una storia forte, estrema e delicata al tempo stesso.

Simone Innocenti

Link qui https://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/arte_e_cultura/20_ottobre_22/mani-tasca-grande-affresco-storico-politico-ultimi-40-anni-7e26261c-147c-11eb-8c7d-0424e4615d52.shtml

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