Quando ho letto questa inaspettata recensione uscita sul Corriere Fiorentino, confesso, mi sono tremate le vene e i polsi
«Le mani in tasca» (Augh edizioni, collana Frecce, 220 pagine) è il terzo romanzo di Daniela Grandinetti, nata a Lamezia Terme ma col cuore in Toscana, dove ha vissuto per molti anni e dove torna molto spesso. Tanto che l’autrice, nel corso della narrazione, incrocia i paesaggi del Mugello – e in particolar modo di Vicchio, dove la protagonista del romanzo maturerà il suo percorso umano – con quelli delle Calabria e di Bologna. Al centro di questo romanzo – scritto con mano felice – c’è Oriana, donna bellissima e sfuggente come solo le calabresi sanno essere. Oppressa da un’ambiente ostile Oriana si impone con la sua famiglia e decide di frequentare l’università di Bologna: è il periodo delle occupazioni studentesche, dei sogni e delle utopie di una generazione che negli anni Settanta fa sentire con prepotenza la propria voce. Una voce che porterà la protagonista a diventare un elemento delle Brigate Rosse e che, proprio per questa sua scelta estrema, sarà arrestata.
La Grandinetti procede come un romanzo di formazione. Da un lato di Oriana racconta l’immensa passione per il teatro, dove conoscerà Dario, timido e intellettuale che col tempo si innamorerà di questa donna così dolce ma dalla vita così difficile da inquadrare. Dall’altro ci sono appunto le vicende di Dario, un uomo che si mette in discussione ma pensa che il teatro sia la chiave di volta della Vita, oltre che un modo per restare in contatto con Oriana, impegnata a fare anche del teatro un’azione politica.
Lo snodo narrativo arriva nel momento in cui Oriana viene arrestata e passa 20 anni in carcere, dove ci è finita perché legata alle Br. E anche se la protagonista non ha mai sparato un colpo, nel percorso carcerario inizia a discutere con se stessa arrivando a un confronto, molto spesso – ed è un meccanismo azzeccato – figlio di contraddizioni. Sarà in Toscana – una volta che Oriana andrà dalla sorella – che tutto si ricomporrà. Il teatro tornerà a essere centrale nella sua vita dove – per uno stratagemma narrativo assolutamente felice – tornerà a vivere anche Dario, che nel frattempo è rimasto ucciso nella strage di Bologna.
Daniela Grandinetti firma una storia nuova che è al tempo stesso un grande affresco storico-politico degli ultimi 40 anni, ambientando nel carcere un racconto che ricorda per certi versi le atmosfere de “Le prigioni di Stato” di Aldo Braibanti e che rievoca certi personaggi alla Jenet. Nell’incedere della storia – scritta con lirismo e in maniera asciutta, quasi a togliere il superfluo della scrittura – si sente fortissima la presenza di un libro: “Il ragazzo morto e le comete” di Parise. Un bel romanzo, questo terzo romanzo della Grandinetti, che porta il lettore in una storia forte, estrema e delicata al tempo stesso.
Simone Innocenti
Rispondi