Su facebook è impossibile dimenticare una scadenza, è come un esattore. Così sono molti i post che ricordano che un anno fa è morto Pino Daniele. Già un anno? Ti chiedi. Sì. Il tempo corre molto più velocemente di te, che non ce la fai a stare al passo.
Mentre scrivo non c’è una canzone di Pino a tenermi compagnia, ma il vento. Un vento che si insinua nei buchi, negli spiragli, che si abbatte sugli alberi e sulla casa. E per una che molto tempo fa sul vento c’ha imbastito un romanzo potrebbe sembrare una iattura. Invece è una bella sensazione lasciarmi accompagnare da una danza impetuosa che là fuori sta sovvertendo qualsiasi ordine naturale.
Quel romanzo era la storia di un nome palindromo, Anna. Quando è stato pubblicato non ho potuto pensare ad altro che ad Anna verrà, di Pino Daniele (non a caso dedicata ad Anna Magnani) e l’ho voluta nella pagina iniziale. Un piccolo, umile tributo.
Oggi è stata anche la giornata dei post dedicati alle analisi del successo strepitoso di Checco Zalone al cinema, a cominciare dal post del Ministro della Cultura Franceschini che dice fa bene al cinema. Non è che potesse essere diversamente visto che era praticamente programmato in un terzo (o più, non sono brava con i numeri) delle sale del regno. Comunque non ce l’ho con Checco Zalone. Se mai con quelli che appena l’Italia ride dicono sia di destra e se ne appropriano. Oppure quelli che dicono evviva la gente esce di casa e va al cinema, è merito della sinistra. Puah! Direbbe Paperoga appena un poco sveglio. Puah! Dico pure io. Sos alla nazione, fatte na’ pizza co’ a pummarola in coppa. Direbbe Pino.
Un anno fa, quando Pino Daniele è morto, ho pianto. Come se fosse morto un fratello, o un amico, qualcuno che senti ti era vicino insomma. Prima di lui mi era successo soltanto con Troisi e Marcello Mastroianni. Quando senti che una parte di te se ne va e non sarà più come prima.
A Pino – come lo chiama un mio amico che l’ha conosciuto bene – mi legano ricordi lontani: il primo è la “mia” notte prima degli esami, il secondo nella mia testa è una foto in technicolor nella quale su un lungomare è immortalata una cinquecento con un altoparlante e l’ultimo ha un inconfondibile odore di mortadella.
L’altoparlante va per le strade pubblicizzando un concerto di Pino Daniele al campo sportivo. Io stavo in quella macchina, insieme ad altri. Puzzavamo di vita, di sole, di mare, d’estate.
Il giorno del concerto, al mattino, casa mia – complice l’assenza dei miei genitori – si trasformò in una sorta di paninoteca (che allora non esistevano) sacchi di panini e chili di mortadella e altre amenità per farcirli. L’odore mi è rimasto addosso per settimane. La sera avremmo venduto quei panini al concerto. Il ricavato serviva al circolo. Si faceva politica anche così allora.
La notte prima degli esami fu l’anno seguente, l’anno della mia maturità, quando quel concerto fu replicato, ma a me non fu permesso di andarci perché il giorno dopo avevo la prova orale. Era il 23 luglio. Del mio esame ricordo poco, ma ricordo bene che accusai il colpo per aver perso quel concerto.
Pino Daniele l’ho rivisto a Firenze, al Palasport: era una kermesse alla quale partecipavano alcuni tra i migliori chitarristi del mondo. L’unico italiano era lui.L’unico autodidatta, probabilmente, com’era Pino Daniele. Il grande talento è una brutta bestia, non si vende e non si compra. Si possiede come un demone, nel sangue, non si scappa.
Alla fine del concerto nel campo sportivo della mia gioventù Pino Daniele mangiò praticamente da solo un vassoio di arancini, mentre qualcuno raccontava che Toni Esposito quel pomeriggio aveva suonato con i veli delle cipolle. Toni sorrideva e Pino mangiava.
Da allora è passato molto tempo e molta strada. Quel ragazzone napoletano un po’ buzzurro è esploso nel mondo e noi tutti gli abbiamo voluto sempre un gran bene, come se ne vuole a una persona, non a un cantante che ascolti di tanto in tanto. Abbiamo ascoltato la sua musica e le sue canzoni, abbiamo consumato musicassette ed LP. L’abbiamo sentito spaziare nei generi musicali e infine l’abbiamo visto ammalarsi.
Non sono in grado di sapere se tra venti o trenta o quaranta anni qualcuno si ricorderà di aver riso a crepapelle con Checco Zalone in una stagione della sua vita.
So che sono qui ad ascoltare il vento e a pensare che nemmeno questo vento può rovesciare un vuoto e trasformarlo in qualcosa di diverso.
A me me piace ‘o blues, e tutt’e juorne aggia a cantà pecchè so stato zitto e mo è ‘o mumento ‘e me sfuga’. Sono volgare e so che nella vita suonerò pe chi tene ‘e complessi e nun’ ‘e vò…
Pecchè so’ blues e nun voglio cagnà’
A Pino, alla sua fame di arancini e a noi che l’abbiamo visto mangiare.
C’ero anch’io a fare quei panini e a giocare a biliardino con Pino!!
Bella Epoca!
Ci piaceva il blues, ha continuato a piacerci e ci piacerà sempre.
E per chi nun tene voglia e cagnà…sarebbe sempre più blues!!