Tutte siamo state molestate

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Anna Magnani in Bellissima, di Luchino Visconti, 1951

Alzi la mano a chi non è mai successo.

La prima volta che sono stata molestata avevo undici anni. Erano molestie verbali di un adulto che mi diceva cose irripetibili. I miei genitori mi spedivano in sicurezza a prendere parte alle prove dello spettacolo che si teneva ogni anno nella mia città per carnevale. Cantavo benino e lui era un musicista del complesso che ci accompagnava. Mi ha inseguito per anni dicendomi porcherie delle quali ho imparato il significato mio malgrado.

La seconda volta che sono stata molestata fu da parte del ragazzino che non accettava che l’avessi lasciato. Mi portò con una scusa credibile in vespa in mezzo a un bosco e mi salvò il fatto che avevo un paio di jeans con la cerniera difettosa e per tenerla su l’avevo chiusa con una spilla da balia. Quell’espediente mi permise di darmela a gambe. Per fortuna non eravamo troppo lontani dal bar dove adolescenti come noi trascorrevano il loro tempo di ozio in vacanza in un luogo di villeggiatura.

La terza volta che sono stata molestata era uno fuori di testa che mi seguiva spesso, avevo si e no quindici anni. Una sera rientrando a casa si infilò nel portone dietro di me e mi mise le mani addosso, dappertutto. La porta di casa mia al secondo piano era aperta e l’unica cosa che mi venne in mente fu che non poteva farmi niente di brutto, dovevo difendermi da sola, se avessi urlato i miei genitori col cavolo che mi avrebbero fatto uscire da lì in poi o tornare la sera (io potevo rientrare massimo alle otto) da sola. Lui era invasato, alla fine gli ho dato uno spintone e mi sono precipitata su per le scale. Mi ha inseguita perfino lì, con mio padre sulla porta insospettito dal tempo che stavo impiegando a salire. Non ce l’ho fatta a nasconderlo, lui vide l’ombra precipitarsi giù per le scale ed io ero troppo spaventata. Cercai perfino di minimizzare.

La quarta volta che sono stata molestata è stato da parte di un conoscente. Avevo circa ventitré anni e vivevo a Firenze, in quel periodo a casa ero da sola. Mi sentii male e chiamai mia sorella, non c’erano i cellulari. Lei non rispondeva, chiamai un suo amico medico che avrebbe dovuto essere con lei. Non era così ma lui si precipitò a casa mia. Fu una cosa che sgradevole è dire poco, forse rivoltante sarebbe più corretto. Non so nemmeno come abbia fatto a metterlo alla porta. Era l’appendice, tra l’altro, ma non fu lui a diagnosticarlo.

Poi infiniti altri episodi, compreso il direttore della filiale dove avevo il conto della mia agenzia, una vita fa, che un giorno piombò senza appuntamento in ufficio, cosa che a suo dire faceva “per conoscere meglio i clienti”, così mi disse. Non ci provò, c’erano altri uffici e c’era gente, ma mi fece capire chiaramente che avrebbe potuto essermi d’aiuto. Sono stracerta che se fossi stata da sola l’avrebbe fatto con i fatti, queste cose le capisci al volo.

Diciamo la verità, noi impariamo a difenderci perché è così che funziona. E non c’è verso: è una stramaledetta questione culturale che inizia da troppo lontano ed è dura a morire.

E proprio perché è una questione culturale andrebbe trattata con toni più consoni. Dopo lo scandalo di Asia Argento, cosa ben diversa, ecco che comincia l’eco delle notizie italiane. Io non riesco a essere del tutto solidale con la velina che ora denuncia quanto accaduto trenta anni fa. Perché da donna che ha sempre cercato perfino di scrivere di queste cose, indagando l’impossibile e il possibile, quella per me rappresenta la sconfitta di tutte le donne. Come sono una sconfitta le madri e le figlie che si scannano ai concorsi di bellezza. Sono i simboli stessi di quella cultura che ora vorrebbero denunciare, ci stanno dentro fino al collo. Non ce la faccio, perdonate, a considerarle eroine.

Noi che facciamo i falsi moralisti dando credito a una stampa che su queste notizie ci va a nozze non per difendere la vittima, o presunta tale, ma per creare lo scandalo anche dove non c’è.

Noi che abbiamo perfino eletto il re dei porci, colui che aveva l’harem delle fanciulle che volevano fare facile carriera e rischiamo di rieleggerlo come se niente fosse, senza ritegno.

Il mondo dei ragazzini, a ben guardare, è pieno di modelli come questi, le loro chat strabordano di foto di ragazzine nude o mezze nude che mandano una foto a uno e si ritrovano condivise con centinaia, che usano il corpo e lo fanno parlare male, malissimo, senza il rispetto necessario per sé stesse.

È una stramaledetta questione culturale.

Quando non dovremo più difenderci, allora sì sarà veramente cambiato qualcosa. Ma a quel momento le veline svestite, provocanti, coi culi per aria (qui soltanto assunte a simbolo) saranno sparite?

 

 

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