La politica: non può più promettere, deve chiedere

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È domenica mattina, c’è un po’ di sole, ma il cielo promette ancora pioggia. È giusto, ce n’è bisogno.
Ho letto alcuni post interessanti: di politici appassionati come Rosario Piccioni, di scrittori legati alla propria terra come alberi antichi quale è Gioacchino Criaco e sono qui che rifletto ad alta voce, scrivendo.
I social non sono un luogo adatto per condividere riflessioni che per loro natura richiedono tempo e approfondimenti, ma utile sì, per lo meno quando l’interazione è proficua e non soltanto meschina o recriminatoria.
Martedì sono invitata a un incontro per parlare di Lamezia città sofferente, città che ha subito tre scioglimenti comunali per mafia. Rifletto su cosa dire, quali siano i punti dolenti da evidenziare in pochi minuti.
La politica è in crisi, non qui, ovunque, la disillusione divide et impera, lo scollamento tra le stanze e le piazze (simbolo di istanze e disagi che vengono da chi vive la sua quotidianità nella necessità di servizi inadeguati) è la stessa differenza tra i luoghi dove si respira aria chiusa e stantia, ormai irrespirabile, e luoghi di aria, di venti che portano nuovi linguaggi, di temporali che ripuliscono e sole che asciuga l’umidità di troppo.
Le logiche non cambiano, l’indignazione non esiste se non su qualche sporadico post che ha i suoi dieci minuti di gloria e le sue decine di condivisioni.
Sarà che ho passato l’estate leggendo molto sugli anni ’70/80, romanzi soprattutto, alcuni bellissimi, quando nel bene e nel male esistevano le utopie, che come diceva un grande qual era Edoardo Galeano “L’utopia è là nell’orizzonte. Mi avvicino di due passi e lei si distanzia di due passi. Cammino 10 passi e l’orizzonte corre 10 passi. Per tanto che cammini non la raggiungerò mai. A che serve l’utopia? Serve per questo: perché io non smetta mai di camminare

Galeano diceva anche che la miglior prova che la diversità della realtà merita di essere progettata in tutte le sue possibilità di sviluppo e cambiamento è proprio nella capacità di sorpresa che la realtà ci offre, sempre.

Ecco, questo il punto nevralgico: la politica ridotta a lista della spesa, a punti da realizzare (leggi promesse elettorali) che se pur necessari non sono però inseriti in una “visione” che sorprenda, che trascini, che smuova le coscienze e la partecipazione.
Quando a scuola parlo di “politica” (accade ad esempio quando è il momento dell’Antica Grecia, dove è nata) alla domanda su cosa sia la politica l’ovvia quanto deludente risposta di decine di giovanissimi è sempre la stessa: persone che rubano. Allora cerco sempre di partire da un punto semplice: quando mangi il panino per strada o bevi lo stramaledetto Estathè e butti l’involucro per strada, stai attento, perché stai facendo politica, stai dicendo con la tua azione che a te non importa niente degli altri e dei luoghi in cui vivi e allora sì, è probabile che sarai rappresentato da persone che rubano, da persone che sono come te, gente che ha a cuore il tornaconto personale (come la mafia nelle sue rappresentazioni) o il proprio potere, o il desiderio di prestigio. Tutta gente che non raccoglierà le cartacce che hai seminato perché proprio come te non gliene importerà niente. Cerco insomma di spiazzarli, è l’unico modo che conosco.

Le risposte alla crisi sono banali: come si recupera il senso civico che in sé racchiude il significato della politica?  Come si supera la logica dei piccoli gruppi ognuno per sé e dio per tutti che non dialogo tra di loro e non riescono a incidere? Io credo creando un solco che faccia sognare, un solco nel quale non è tutto già scritto ma da scrivere, non promettendo, ma CHIEDENDO. Sì, chiedendo, avete capito bene.

Smettere di fare le liste e parlare di buone pratiche e chiedere invece impegno ai cittadini, agli uomini e alle donne, di fare ciascuno la propria parte, di non delegare e aspettare (e magari criticare, che è lo sport nazionale che ci riesce meglio) di mettere in rete la parte buona di decine e centinaia di persone che puliscono le spiagge che producono cultura che sono impegnati quotidianamente nel volontariato che lavorano nel sociale, in una parola che fanno politica, fuori dalle stanze.

Chiedere maggiore responsabilità, ricostruire un senso di appartenenza e avere la capacità di costruire utopie, necessarie per camminare e andare oltre. Difficile? Probabile, messi come siamo. Ma non vedo altra strada.

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