Di recente ho fatto una breve intervista a Eraldo Affinati sul suo libro L’uomo del futuro dedicato alla figura di Don Milani. Alla mia domanda se ancora oggi nella scuola così come sta cambiando la figura di Don Milani possa ancora dire qualcosa Affinati mi ha risposto così:
“Credo di sì. Rompere la finzione pedagogica, fare sul serio, non limitarsi a spiegare il programma e mettere i voti, ma guardare negli occhi i propri studenti: queste richieste potrebbero essere state formulate anche oggi, nell’epoca dei test di valutazione. Don Lorenzo non ci ha lasciato un metodo da praticare, ma uno spirito da vivere.”
Il ministro Giannini ha firmato il decreto per l’assegnazione del bonus agli insegnanti che introduce il merito: in tutto 200 milioni di euro che confluiranno nell’apposito fondo che permetterà, in media, a ciascun dirigente scolastico di poter disporre di 23 mila euro da assegnare agli insegnanti più meritevoli. Sarà il preside ad assegnare il bonus ai docenti secondo i criteri decisi dall’apposito nucleo di valutazione che sarà da lui stesso presieduto e avrà nell’organo tre insegnanti, due genitori (nelle scuole dell’infanzia, elementari e medie) o un genitore ed un alunno (nelle scuole superiori) e un membro esterno scelto dall’Ufficio scolastico della regione.
Nei fatti sarà il Dirigente ad avere l’ultima parola e sappiamo bene che non tutti saranno all’altezza di questo delicatissimo compito che introduce nella scuola una ulteriore divisione tra insegnanti di serie a e di serie b senza che si sia capito quale sia veramente il criterio per giocare in una serie o l’altra (o meglio è piuttosto chiaro, ma non trasparente)
Walter Tocci a questo proposito nel suo La scuola: le api e le formiche dice una cosa illuminante: “come possa misurarsi la ricaduta macroeconomica dei poteri del preside è un mistero rivelato solo agli economisti di palazzo. Le basi scientifiche di questa previsione sono paragonabili a quelle dell’oroscopo.”
E mai espressione fu più azzeccata se andiamo a vedere come saranno distribuiti questi soldi (che non si possono dare a pioggia e neanche dividere tra pochi eletti)
Le incongruenze generate nei sistemi che applicano logiche di mercato all’istruzione scolastica sono già emerse nei paesi che hanno cominciato prima di noi, non si poteva almeno sfruttare il vantaggio di evitare di ripetere errori?
Se si innalza la professionalità dell’insegnante migliora la sua capacità di regolare l’azione educativa. Se il preside è una figura autorevole può contribuire al miglioramento dell’offerta formativa. Se il buon governo dello stato e degli enti locali si prende cura delle scuole, si rafforza la loro responsabilità verso l’interesse collettivo. Si migliora l’equità del sistema, si ottengono buoni risultati per l’apprendimento, come dimostrano tanti studi internazionali. (W. Tocci)
Se il merito è una parola che una sua dignità, la meritocrazia nel potere ha il suo alleato naturale. Il merito si sposa con la libertà. Si studia per non piegare la testa, per migliorare la propria vita. Il merito non ama la gerarchia.
Solo chi vive nella scuola con un buon grado di partecipazione alla vita scolastica e di consapevolezza sa quali grigi scenari apre la corsa all’accaparramento di quel riconoscimento economico che nel sistema attuale non valuta la qualità dell’insegnamento o l’innovazione didattica, ma andrà a favore di tutti coloro che si dispongono alla destra e alla sinistra della corte del re nelle funzioni ritenute indispensabili dal re stesso. So che è sbagliato generalizzare: le varianti sono tante, ma questo non sposta l’asse di fondo della scelta che è stata fatta, che introduce un criterio di “concorrenza” e di pugnalate alle spalle in una istituzione dove dovrebbe prevalere lo spirito di collaborazione e il lavoro di equipe.
Brutta strada quella lastricata dalle lingue che leccano. Lasciano una scia di bava simile a quella delle lumache in amore.
Lo spirito da vivere di cui parla Affinati mi appare sempre più lontano, mi dà tristezza.
26 gennaio

Quattro ore di corso di formazione sulla sicurezza. Meno male ho dei colleghi simpatici, altrimenti sarebbe da spararsi. Argomenti oltremodo noiosi. Non ci formiamo – né confrontiamo – sulle cose importanti ed essenziali, ma dobbiamo conoscere tutti i rischi sul lavoro. Per carità, sacrosanto, se solo le scuole (almeno la gran parte) fossero luoghi messi in sicurezza, cosa che non è affatto.
Un mio collega ha fatto un bellissimo intervento a proposito di stress sul lavoro (perché nei protocolli c’è anche il rischio correlato allo stress). In sostanza ha detto che poiché non produciamo tonno in scatola per cui procedure e ricadute sono verificabili dovremmo fare attenzione a farci trattare come se sfornassimo merce, utenza, clienti. Mi sarei alzata per dargli un bacio in fronte.
Comunque registro che Kalim sta venendo a scuola. È stato vicino alla seconda sospensione a causa di uno di quegli insegnanti che qualche pagina fa ho definito grandi coleotteri (beh… a dire il vero lui ha mandato quell’insegnante a fanculo, ma per ottenere il risultato il bravo coleottero ci ha lavorato su parecchio!)
In quei giorni, consapevole d’averla fatta grossa, aveva smesso di nuovo di venire a scuola, tanto che con un amico gli ho mandato un biglietto con i toni di cazziatone epocale. Per fortuna a maggioranza abbiamo deciso che un’altra sospensione nel suo caso sarebbe stata fatale, significava buttarlo per strada. Ha avuto la sua brava ramanzina e gli abbiamo concesso un’altra possibilità. La buona notizia è appunto che a scuola sta venendo assiduamente.
Al rientro a un certo punto mi ha mostrato il biglietto che aveva ricevuto e mi ha fatto segno che lo porta con sé. Questo – mi ha detto – me lo conservo.
Se ne sta lì certe volte e lo vedo che mi scruta, nota tutto sto’ fetente. Tipo mentre parlo mi dice: ma perché si è allisciata i capelli? Sono mbalusi, era meglio prima. Mbalusi è una parola che ha imparato e schiaffa dappertutto, vuol dire che non vanno bene. Oppure: lo sa che il fumo invecchia, che se non fumasse non avrebbe quelle rughe? In pratica mi sta dicendo che devo avere più cura di me. Mi tiene d’occhio.
Qualche volta alla fine dell’ora mentre si preparano per uscire mi si accovaccia a fianco alla cattedra e mi chiede: ma me ne volete bene?
No, rispondo. Io sono pagata per insegnarti storia e italiano non per volerti bene Kalim.
Il massimo è stato la scorsa settimana quando mi ha chiesto: ma voi siete felice? Sono rimasta spiazzata.
Ma come ti viene in mente di farmi ste’ domande?
Io lo so perché mi fa queste domande. Perché non ha la stessa intelligenza e sensibilità degli altri. Non studia niente, avrà una pagella disastrosa, ma non è come gli altri.
Caro Kalim, se sono felice o meno non è un problema. So però che spesso sono stanca, sempre più stanca. So che quello che succede fuori dalle aule mi piace ogni giorno di meno. So che è facile attaccare me e quelli come me, fin troppo facile. Non scodinzolo, non compiaccio, non mi mostro, mi piace fare quello che devo fare con passione, detesto i tecnicismi, detesto perdere tempo in inutili cazzate che ti atrofizzano il cervello, detesto farlo perché va fatto e salvo il quieto vivere, non ho alcun senso della gerarchia, capisco solo la cooperazione e la collaborazione e a quelli che dicono cose tipo “il/la dirigente vuole così” mi verrebbe voglia di dargli una sberla. Contrastivi, pare che abbiano definito così gli insegnanti non allineati. Mi sa che sono tra quelli, mio malgrado.
E gli strumenti, caro Kalim, non sono così diretti come quelli che i professori usano nei confronti degli allievi. Sono subdoli. Sono piccole azioni, una per volta. Siccome penso e poiché penso parlo, questo non va bene, non è mai andato bene. Meglio star zitti e tirare a campare.
Lo stress sul luogo di lavoro. Mi viene da ridere caro Kalim, da ridere.
E mi sa che tu te ne sei accorto.
Lo sai Kalim? Io che sono più di venti anni che insegno con dedizione, mi dovrò difendere davanti a un giudice. Sì, perché ho subito un provvedimento del tutto ingiusto e fuori luogo. Tra le tante cose c’era scritto: “… ravvisando nella sua condotta mancanze relative alla funzione docente, ai doveri di correttezza, di collaborazione ecc ecc”
Qualcuno dice che non dovrei scriverne, non dovrei dirlo, ma non ho nulla di cui vergognarmi, anzi, il mio è paradigma della nuova aria che comincia a tirare. Io non riconosco il linguaggio copiato dalle leggi e usato da chi legge non è, io conosco il potere della parola, questa, adesso, qui.
Buona la scuola, vero Kalim?
Nessuno può permettersi di rivolgermi parole di quel tipo solo perché ha motivi altri che non conosco e non voglio conoscere. E per questo devo intraprendere a malincuore un’azione legale.
Nessuno può farlo, se non altro perché se tu sei tornato a scuola e non sei per strada a fare chissà che, è merito mio e di quelli come me.
Insegno il rispetto prima della letteratura. e se lo insegno, lo esigo. E’ una cosa semplice e naturale e non c’è niente di eroico in questo.
Professoressa, ma voi, siete felice?
A chi piace questo clima di finti e ipocriti moralizzatori forti delle campagne mediatiche in nome di cause solo e esclusivamente personali che niente hanno a che fare con l’educazione e la scuola – proprio in quanto prima istituzione deputata all’educazione – dico: tenetevela.
E buona fortuna.
Ps. comunque Kalim, sì, a te sì, ti voglio bene.
23 gennaio

Ho iniziato questa settimana a leggere “La scuola, le api e le formiche”, di Walter Tocci e ho deciso di dedicare qualche pagina di questo diario a una lettura ragionata di questo libro.
L’autore è stato Vicesindaco di Roma ed è attualmente senatore del PD e, nella sua qualità di membro della Commissione Parlamentare per l’Istruzione, ha partecipato alla discussione della Buona Scuola. Quindi appartiene allo stesso partito del premier che questa legge ha voluto fortemente ed ha una conoscenza capillare della legge, pertanto costituisce una voce autorevole che non si può definire “di parte”.
Non sono io a parlare e/o esprimere la mia opinione ma commenterò l’analisi della legge che ha fatto Tocci in queste pagine della sua efficace e autorevole pubblicazione.
Cominciamo dalla Premessa del libro, il cui incipit è: “la Buona Scuola è una riforma mancata. Non c’è il cambiamento strutturale della scuola italiana. Non si vede alcuna strategia per rimuovere gli ostacoli che impediscono al nostro sistema di assolvere ai compiti repubblicani: le diseguaglianze legate allo status familiare, al tipo di scuola e al contesto territoriale, soprattutto nel Mezzogiorno.”
Nella Premessa Tocci afferma che sono ormai vent’anni da che ogni governo ha preteso di scrivere una riforma scolastica, ponendosi una domanda: “che cosa non va nel rapporto tra politica e scuola se per venti anni sono fallite tutte le riforme?” e più avanti “la parola riforma è stata sfigurata dalle ideologie del tempo e soprattutto in Italia si è ridotta all’approvazioni di leggi sempre più confuse e inutili. Riforma dovrebbe essere un processo sociale, non un editto ministeriale. È questione culturale, non problema amministrativo. La politica è ormai convinta di poter decidere ricorrendo soltanto alla personalità che mette fine alle controversie.”
Provo a tirare le somme dalla lettura delle prime pagine: mettete un padre con quattro figli. Questo padre decide di investire un tot per la crescita dei propri figli. Esaurito l’investimento di base per le prime necessità quel padre decide che continuerà a investire solo sui figli che avranno dato maggiori garanzie per far fruttare il suo investimento iniziale, abbandonerà invece quelli che non hanno acquisito le premesse. Voi pensereste che sono proprio i figli in difficoltà che avrebbero bisogno di maggior sostegno. Inoltre non è – a ben vedere – neanche lungimirante perché – a meno che non decida di far fuori fisicamente quei soggetti – da qualche parte finiranno per gravare al fine di garantirsi la sopravvivenza.
Mettete poi che quel padre faccia due calcoli e collochi due figli al nord dove il suo investimento ha maggiori probabilità di rientro e due al sud dove le probabilità sino minori e otterrete la politica del governo. Sono le leggi del mercato, la modernità, baby.
“Le politiche pubbliche non possono ridursi al bonus malus finanziario, bisogna investire sui processi organizzativi sia per dare opportunità ai migliori sia per aiutare le strutture in difficoltà. Le risorse pubbliche devono essere spese per innalzare la qualità dell’intero sistema, non una parte contro l’altra.”
E poi ancora: “ il mondo vitale dell’educazione non può essere descritto dalle deformazioni della scienza economica che ha perso la radice originaria di filosofia morale per ridursi a una tecnologia del debito. Gli inganni del mercato divorano i sogni del nostro tempo. Hanno già spento l’ambizione di un’Europa unita, hanno intaccato la speranza di un mondo con meno frontiere, hanno svuotato il successo mondiale della democrazia. Ora non possiamo consentire che facciano del male anche alla scuola.”
E questo – per giunta – lo sta facendo una forza “di sinistra”.
21 novembre
Ho iniziato a scrivere questo diario senza un preciso obiettivo, giusto per raccontare cosa avviene o può avvenire dentro aule scolastiche, perché non se ne parla così com’è.
Queste pagine hanno acquisito per strada un loro perché anche in virtù del fatto che sono seguite, la qual cosa spero sia dovuta proprio all’interesse che può suscitare scrivere e parlare di scuola in maniera diversa.
Certo sono spesso animata da una vena polemica, ma ciò è dovuto al tentativo di mostrare quanto sia diverso ciò che all’interno delle classi succede e ciò che esiste all’esterno, perché è difficile parlare di scuola e interrogarsi sulla bontà degli interventi legislativi che non incidono – il più delle volte – sulla vita della scuola e sui suoi reali bisogni.
Arriviamo così al racconto di oggi. E rispetto all’ultima pagina si cambia registro. Per motivi di riservatezza diremo che ciò che raccontiamo è accaduto all’insegnante x, nella scuola y, con un dirigente k.
Cominciamo dai fatti: l’insegnante x per motivi personali prende un giorno di permesso. Accade che lo stesso insegnante – per una coincidenza occorsa anche in virtù di un forte stress al quale si è sottoposto per il poco tempo richiesto per svolgere ciò che aveva necessità di fare – il giorno dopo ha un malore.
Avverte la scuola che è impossibilitato a recarsi al lavoro. Non chiama un medico curante (che di questi tempi come sappiamo difficilmente effettuano visite a domicilio) e decide di recarsi dallo stesso nel pomeriggio anche per verificare la causa di quel malore.
Come sappiamo in caso di richiesta di visita fiscale bisogna rispettare le fasce di reperibilità. Ma, come ha fatto altre volte, l’insegnante x si reca dal medico alle ore quattro con l’intenzione di farsi comunque rilasciare l’attestazione di presenza nel suo studio.
Alle cinque al domicilio si presenta la visita fiscale. Gli viene riferito che l’insegnante x è dal medico e già sulla via del ritorno. Ma il medico fiscale non aspetta, avverte si faccia fare il certificato necessario dal medico.
Così il giorno dopo a scuola l’insegnante x si reca in segreteria per regolarizzare la sua richiesta di malattia e presentare il certificato che attesta la presenza nell’ambulatorio in orario di visita fiscale.
Purtroppo commette un errore: invece di allegare quel certificato, allega la richiesta di analisi (stesso foglietto bianco) prescritte dal medico.
Il giorno dopo, mentre fa lezione, un custode avverte l’insegnante x che deve presentarsi presso la segreteria per comunicazioni urgenti.
Così l’insegnante si reca presso gli uffici dove gli viene consegnata una busta chiusa più grande contenente comunicazioni riservate e una più piccola.
La apre e legge l’oggetto: contestazione di addebito disciplinare.
Non sa bene cosa sia e legge il seguito: dopo una serie di commi e di riferimenti legislativi, quella lettera freddamente comunica che le è stato contestato il giorno di malattia “contravvenendo al suo obbligo di rispetto delle fasce di reperibilità. La presente costituisce atto di avvio di procedimento disciplinare” e – in breve – l’insegnante x è invitato in data … a presentarsi presso gli uffici della dirigenza per il contradditorio alla presenza di un procuratore o un rappresentante sindacale.
L’insegnante x cade dalla nuvole, sulle prime non capisce, mai è accaduto niente di simile. Fa mente locale e in un’altra busta più piccola vede che vengono riconsegnate le analisi erroneamente allegate.
Torna in segreteria e fa presente l’errore: ha presentato il certificato sbagliato.
Risultato: non c’è niente da fare, l’insegnante x dovrà presentarsi per la contestazione d’addebito. La segretaria le comunica che i suoi obblighi sarebbero stati diversi e ormai è a suo carico il procedimento, che il dirigente k ha comunque concesso di farsi assistere nel contradditorio.
Ho volutamente mantenuto un linguaggio burocratico perché è su questo solco che ormai ci muoviamo.
La legge che dà ai presidi tanti poteri, non è solo fatto che riguarda un cambiamento della scuola in senso verticistico, ma scardina completamente il senso di quella che dovrebbe essere una comunità scolastica.
È vero, ci sono dirigenti e dirigenti. Per alcuni sarebbe bastata una telefonata e l’equivoco si sarebbe chiarito. Ma per altri evidentemente il potere è quello che Andreotti diceva “logora chi non ce l’ha”. Chi ce l’ha, gongola. Se ne può anche infischiare del buon senso e del rispetto della persona.
Qui non si parla di un assenteista incallito (per il quale i metodi ci sono e ci sono sempre stati) qui si parla di un giorno e di insegnante che svolge il proprio dovere, che è una persona affidabile, in un momenti di difficoltà. Qui si parla della rottura di rapporti di fiducia, di qualsiasi sentimento di appartenenza, di conseguenze che vanno dalla demotivazione al menefreghismo (che già si vedono)
Perché infatti con la tipologia del dirigente x, nessun insegnante vuole averci a che fare, poiché si finisce per temere costantemente di essere sotto controllo e con la possibilità di essere colti in fallo.
Non stiamo parlando di un’azienda (e perfino all’interno di qualsiasi azienda un buon imprenditore sa che senza l’adeguata motivazione un lavoratore mai renderà abbastanza). Stiamo parlando dell’applicazione di meccanismi economici e gerarchici all’interno della scuola, che ha bisogno esattamente del contrario: partecipazione, condivisione, fiducia degli attori coinvolti.
Inutile dire che l’insegnante x si è sentita una merda di fronte a quel burocratichese che afferma un potere: il potere del superiore di fronte a colui che si sta trasformando in subalterno, perché ad alcuni dirigenti – diciamo la verità – fa un sacco di bene marcare il territorio e sentirsi dire: sì padrone. È scritto nella psicologia di molti, non è un peccato, è solo una cosa che può accadere e per questo la legge è tanto più pericolosa.
L’insegnante x sa bene di non aver commesso alcuna infrazione sostanziale, eppure dovrà entrare in quella stanza a dare spiegazioni su ciò che non dovrebbe essere costretto a spiegare. Si chiama umiliazione.
Questa è anche la Buona Scuola.