
Ho iniziato questa settimana a leggere “La scuola, le api e le formiche”, di Walter Tocci e ho deciso di dedicare qualche pagina di questo diario a una lettura ragionata di questo libro.
L’autore è stato Vicesindaco di Roma ed è attualmente senatore del PD e, nella sua qualità di membro della Commissione Parlamentare per l’Istruzione, ha partecipato alla discussione della Buona Scuola. Quindi appartiene allo stesso partito del premier che questa legge ha voluto fortemente ed ha una conoscenza capillare della legge, pertanto costituisce una voce autorevole che non si può definire “di parte”.
Non sono io a parlare e/o esprimere la mia opinione ma commenterò l’analisi della legge che ha fatto Tocci in queste pagine della sua efficace e autorevole pubblicazione.
Cominciamo dalla Premessa del libro, il cui incipit è: “la Buona Scuola è una riforma mancata. Non c’è il cambiamento strutturale della scuola italiana. Non si vede alcuna strategia per rimuovere gli ostacoli che impediscono al nostro sistema di assolvere ai compiti repubblicani: le diseguaglianze legate allo status familiare, al tipo di scuola e al contesto territoriale, soprattutto nel Mezzogiorno.”
Nella Premessa Tocci afferma che sono ormai vent’anni da che ogni governo ha preteso di scrivere una riforma scolastica, ponendosi una domanda: “che cosa non va nel rapporto tra politica e scuola se per venti anni sono fallite tutte le riforme?” e più avanti “la parola riforma è stata sfigurata dalle ideologie del tempo e soprattutto in Italia si è ridotta all’approvazioni di leggi sempre più confuse e inutili. Riforma dovrebbe essere un processo sociale, non un editto ministeriale. È questione culturale, non problema amministrativo. La politica è ormai convinta di poter decidere ricorrendo soltanto alla personalità che mette fine alle controversie.”
Provo a tirare le somme dalla lettura delle prime pagine: mettete un padre con quattro figli. Questo padre decide di investire un tot per la crescita dei propri figli. Esaurito l’investimento di base per le prime necessità quel padre decide che continuerà a investire solo sui figli che avranno dato maggiori garanzie per far fruttare il suo investimento iniziale, abbandonerà invece quelli che non hanno acquisito le premesse. Voi pensereste che sono proprio i figli in difficoltà che avrebbero bisogno di maggior sostegno. Inoltre non è – a ben vedere – neanche lungimirante perché – a meno che non decida di far fuori fisicamente quei soggetti – da qualche parte finiranno per gravare al fine di garantirsi la sopravvivenza.
Mettete poi che quel padre faccia due calcoli e collochi due figli al nord dove il suo investimento ha maggiori probabilità di rientro e due al sud dove le probabilità sino minori e otterrete la politica del governo. Sono le leggi del mercato, la modernità, baby.
“Le politiche pubbliche non possono ridursi al bonus malus finanziario, bisogna investire sui processi organizzativi sia per dare opportunità ai migliori sia per aiutare le strutture in difficoltà. Le risorse pubbliche devono essere spese per innalzare la qualità dell’intero sistema, non una parte contro l’altra.”
E poi ancora: “ il mondo vitale dell’educazione non può essere descritto dalle deformazioni della scienza economica che ha perso la radice originaria di filosofia morale per ridursi a una tecnologia del debito. Gli inganni del mercato divorano i sogni del nostro tempo. Hanno già spento l’ambizione di un’Europa unita, hanno intaccato la speranza di un mondo con meno frontiere, hanno svuotato il successo mondiale della democrazia. Ora non possiamo consentire che facciano del male anche alla scuola.”
E questo – per giunta – lo sta facendo una forza “di sinistra”.
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