Siamo fuori di testa?

Ci sono libri che si incontrano per coincidenze “astrali”, quasi un’intelligenza artificiale abbia deciso di metterli sulla nostra strada in un momento in cui abbiamo bisogno di leggere esattamente quella cosa lì.

È successo: dopo aver letto un post dello scrittore Gioacchino Criaco, ho cercato questo saggio che mi ha subito strizzato l’occhiolino: ehi tu, mi devi leggere.

Letto, apprezzato e pensato: quando una cosa è bella e importante va comunicata all’universo mondo, che è poi il motivo per cui scrivo questi pezzi che recensioni non sono.

Ed ecco che si presenta il pensiero di seconda fila: ma sarò in grado di scriverne sufficientemente bene da restituire la bellezza, l’importanza, l’ironia, la ricchezza?

A questa domanda non so rispondere, ma eccomi a parlare di Zitti e buoni, breviario per aspiranti Maneskin (Corso accelerato per non diventare una rockstar postmoderna) di Salvatore Setola, Edizioni Arcana, e coincidenza due vuole che io ne scriva nella settimana della kermesse sanremese che è stato il trampolino di lancio della band italiana che secondo la narrazione ha sfondato in Italia, poi in Europa, poi negli Stati Uniti (se per ottimi  manager o reali virtù a ciascuno la propria risposta).

Il rock è tornato? Questo non è dato saperlo (se cercate una risposta consiglio di leggere il libro).

Il libro è suddiviso in cinque moduli, ogni modulo contiene un  numero di lezioni corredate di materiali didattici consigliati (libri, dischi, film). Praticamente una programmazione didattica in modalità scolastica, una cosa seria insomma (ma attenzione, forse non la serietà che state pensando: Frank Zappa, per dire, è sempre stato serissimo).

Partiamo dall’introduzione: Lezione 0. Non ascoltate musica, fatevela fischiettare rimanda al titolo del saggio di Luciano Bianciardi Non leggete libri, fateveli raccontare. Bianciardi nel 1966 aveva già previsto il declino progressivo dei nostri tempi (che non è la nostra bolla social che ci mostra il migliore dei mondi possibili, perché là fuori il mondo è ben altro) e scriveva: “sembra chiaro che a questo mondo tutto si può imparare: l’allevamento del pollame e l’arte del governo, la scienza delle finanze e il gioco della canasta, l’astronomia e l’interpretazione dei sogni.” Esistono manuali per tutto e tutti possono imparare “fra i tanti uno dedicato ai giovani che intendano vivere in quel campo di attività chiamato cultura.” Insomma: per chi voglia diventare un intellettuale.

L’ironia di Bianciardi “col ghigno agro di chi, i giovani, preferiva educarli alla mediocrità”, è il punto di partenza ed è la stessa che pervade Zitti e buoni di Setola.

Quando, sempre più di frequente, ascolto certe affermazioni sulle differenze generazionali in senso dispregiativo (levatevi di torno vecchi, largo ai giovani) non riesco a rispondere, non mi va più; sta’ storia dei boomers e dei millennials la trovo oziosa, fastidiosa come una mosca sotto la maglia, insopportabile quanto le punture di zanzare nelle sere d’estate, come se lo scambio generazionale non avesse alimentato secoli di trasmissione e scambi di conoscenze, pur nelle differenze di gusti e tendenze, talvolta opposte e lontane mille  miglia. Quando succede: sorrido dentro e faccio spallucce tanta è l’energia che mi si agita dentro da indurmi a pensare: fermati, non rispondere, non vale la pena. Cosa vuoi dire? Già visto, sentito, scritto?

Questo libro contiene tutte le risposte a questa insana diatriba (ad uso e consumo dei consumi peraltro) senza dare alcuna risposta se non quella di mettere in fila fatti, aneddoti, vissuti, esempi e protagonisti della scena musicale e in generale artistica di ieri e di oggi, con una leggerezza che non ha eguali.

Si capisce che ho goduto di questa lettura? Scialla, per dirla con il titolo di un film, o scialarsi per dirla con un bellissimo termine del mio dialetto. Ecco, mi sono scialata.

Nel merito: di Maneskin si parla marginalmente, più che altro si affrontano i meccanismi che ne determinano il successo, ma non smascherando i trucchi, anzi, ma delineando un quadro che alla fine li fa percepire in tutta la loro inconsistenza.

Setola, soprattutto, racconta, e lo fa bene. I capitoli sono storie con protagonisti al di là dell’immaginazione, che vuol dire non trovare Jimi Hendrix ma Tomaso Marinetti, Totò Savio (fondatore degli Squallor, “l’Accademia della Crusca del turpiloquio, i dottor Jekyll che scrivevano musica e parole di classici della canzone italiana come Cuore matto e Maledetta primavera o Rose Rosse, che si trasformavano in Hyde, un branco di predatori notturni assetati di whiskey, auto contestando quel sentimentalismo delle canzoni d’amore che loro stessi scrivevano), Ivan Cattaneo, Ivan Graziani, Franco Califano (un sex symbol che se la giocava alla pari con Paul Newman e Steve McQueen in versione fuorilegge e criminale, con l’espressione da esistenzialista francese e il capello da capo della mala) Piero Ciampi (che era tutto quello che non vogliamo più che gli artisti siano, l’amarezza della vita agra, il dolore di essere meschini, il sarcasmo, il cinismo, la violenza più dannata contro quel problema volgare che ci attanaglia tutti: Andare, camminare, lavorare. Campare). Ciampi era il Majorana di Sciascia in fuga dal proprio talento)

E poi ancora Umberto Bindi, Loredana Berté che ha cucinato per Andy Wharol, Gianluca Grignani e molti altri, passando da Pasolini, Philip Roth o Coman McCarty, per citarne alcuni, in una carrellata di ritratti abbozzati con sintesi e chiarezza, ognuno presentato come esempio  per far emergere il concentrato di fuffa che sta dietro il successo dei Maneskin: “Il loro dramma non è tanto suonare male quanto suonare male una musica vecchia senza averne mai posseduto lo spirito (…) Volendo riprendere il discorso gastronomico, i Mâneskin sono il parmesan cheese fatto in Wisconsin, gli spaghetti con meatballs nei presunti ristoranti italiani a Manhattan, la mozzarella imbustata nei supermercati di Los Angeles: una spudorata contraffazione”.

Ho sottolineato molti passaggi del libro a colpi di lapis, e confesso ho difficoltà a non riportare i passaggi, ma comprendo non posso scrivere un trattato: non avreste la pazienza di leggermi, ammesso siate arrivati fin qui. Ecco perché dovreste leggere il libro: una miniera, non solo per chi come me è cresciuto a pane e musica, i riferimenti sono svariati, caleidoscopici, divertenti, ineccepibili. E i Maneskin, alla fine, il pretesto.

Dall’Introduzione, Lezione 0 Non ascoltare la musica, fatevela fischiettare

I Maneskin sono la band che l’Italia Postmoderna aspettava, una profezia di  Dostoevskij per l’era di X Factor… tra le molte cose che Dostoevskij ci ha rivelato la più importante è che le catastrofi non accadono quando si trasgrediscono le regole, ma quando ci si illude di non averne. (…) fai ciò che vuoi, libertà assoluta. Niente autorità a cui ribellarsi, niente sacro da profanare, nessun limite da infrangere. (..) ma  se il recinto è vuoto, non ha più senso violarlo (..) Del resto: da quando il rock deve mandare un bel messaggio? Bisogna fare il tifo per i Maneskin, perché sono un orgoglio nazionale. (…) ma orgoglio nazionale è, tanto per fare un esempio, Ennio Morricone: spostarsi, mettersi di lato, così che il resto del mondo possa ascoltarti davvero.”

La mia generazione, quando non ha bisogno de Maneskin continua ad avere bisogno della narrazione della tribù degli inadeguati, del ghetto, del “siamo fuori di testa e diversi da loro”, ma è solo un vezzo di una società malata di giovanilismo. Quella patologia post moderna che non si manifesta soltanto nella casa del Grande Fratello o sulla barca di Briatore. Fuori dagli stereotipi televisivi, giovanilismo è quel desiderio ingenuo di tornare sempre nella stessa cameretta, custode di nostri disagi a dispetto di un mondo che, malgrado esperienza maturata, continuiamo a mancare. Crescere vuol dire discendere, diventare sé stessi; non puoi continuare a sentirti a disagio davanti al tempo che ti mangia: puoi farci pace, puoi batterlo al suo stesso gioco, oppure puoi diventare eremita del tuo tempo e sbattertene di cosa devi pensare per compiacere la tua piccola o grande fetta di mondo. La parola rock non ha mai avuto davvero senso, ma se significa qualcosa, significa questa cosa qua. È una predisposizione caratteriale, una forma di vocazione, una categoria dell’anima. Non la puoi davvero insegnare agli altri. Prendete questo breviario come un manuale come di auto sabotaggio, un itinerario per fuggiaschi. Questo libro, è per salvarvi dai vostri sogni.

Del resto “Luciano Bianciardi diceva che il successo è soltanto un participio passato; secondo Giuseppe Berto poteva essere al limite uno strumento per compiacere la propria vanità. Ma nella società postmoderna, dove ognuno ha a disposizione ventiquattr’ore su ventiquattro una vetrina nella quale esibire la propria vita, il narcisismo e l’esibizionismo hanno assunto proporzioni epidemiologiche. Pur di ottenere l’ammirazione degli altri e rimanere al centro della scena, personaggi più o meno famosi si inventano battaglie civili che in realtà hanno a cuore un solo argomento: la persona che se ne fa portavoce. (..) Il manuale del ribelle non esiste perché siamo tutti suscettibili a una qualche forma di vanità.”

Nient’altro da aggiungere.

Leggete (Zitti e buoni, breviario per aspiranti Maneskin) e moltiplicatevi.

Il libro

Zitti e buoni. Breviario per aspiranti Måneskin. Corso accelerato per non diventare una rockstar postmoderna, Arcana Editore

Oggigiorno esistono manuali e corsi di formazione per diventare qualsiasi cosa: un futuro premio Strega e un fact-checker da guinzaglio, un botanico della fioritura personale e un maggiordomo d’azienda, ma un corso per disintossicarsi dal narcisismo conformista dei nostri tempi, compresa una musica rock ormai depotenziata e caricaturale, che la suonino i Måneskin o la next big thing del sottobosco alternativo, nessuno ve l’ha ancora proposto. Durante questo corso accelerato per non diventare una rockstar postmoderna riceverete lo spirito del rock dai futuristi e quello del punk dai dadaisti; studierete la teologia dello scandalo col professore dissociato Arthur Cravan, poeta pugile e prima rockstar del Novecento; tornerete a essere veri uomini con Diego Maradona e vere donne con Valentine de Saint-Point; andrete in gita nei luoghi più deliranti del manicomio postmoderno: il politicamente corretto, la fluidità di genere e l’ingegneria linguistica inclusiva; provocherete i neomoralisti parlando la lingua degli Squallor, andando a donne con Califano e in osteria con Piero Ciampi; apprenderete i rudimenti del mestiere nella Bologna degli Skiantos e nella Pordenone del Great Complotto; salirete sul palco di Sanremo da fuoriluogo; vi vestirete come Adriano Panatta dentro e fuori la coppa Davis; conquisterete l’America cucinando spaghetti al pomodoro insieme a Loredana Bertè e poi, quando sarete a un passo dall’avercela fatta, brucerete tutto. Da autentiche rockstar. Vi dileguerete, come fanno solo i latitanti e i mistici, e arrivati a quel punto – forse – potrete dirvi ancora vivi.

L’Autore

Salvatore Setola

Si è occupato di musica, arte e cultura per Ondarock, Il Mucchio Selvaggio e Tortuga. È coautore dei libri Ambulance Songs e Ambulance Songs 2 (Arcana, 2019 e 2021), L’urlo. I suoni senza voce di Luciano Cilio (Crac, 2020) e del romanzo Vegan Holocaust (Eretica, 2021).

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