I figli non so’ piezzi e core

Nel canottaggio molto importante è la figura del capovoga, cioè colui che siede sul primo carrello a poppa, il cui compito è dare il ritmo alla barca e scegliere una strategia di gara.

Per vincere nel canottaggio occorrono vigore, forza fisica, capacità di guardare fissi davanti a sé, concentrazione massima sull’obiettivo per imprimere ritmo e forza ai remi, all’unisono con i compagni di squadra.

Questa è l’immagine che mi è balzata chiudendo questo bellissimo romanzo con quel leggero tonfo che producono le pagine quando le chiudi definitivamente e te ne stai lì a pensare. O sentire.

Letto in un periodo in cui, per motivi che non saprei spiegare (o forse sì, ma li lascio nel covo della mia anima) per lungo tempo non sono stata in grado di portare a termine romanzi (almeno una decina) iniziati e abbandonati dopo poche pagine. Tanto da preoccuparmi perfino, perché leggere per me è ricavarmi quell’altrove quotidiano necessario come l’aria e l’acqua.

Poi è arrivato Il fuoco che mi porto dentro: 222 pagine serrate senza trama, ma con una scrittura così precisa e potente, da risultare, per certi versi, sbalorditiva.

E allora ho ascoltato il capovoga, e mi sono messa a remare, seguendo quel solco d’acqua che ti impone una traiettoria precisa tra i flutti che vorrebbero fermarti o quanto meno farti vacillare. Ce l’ho fatta, ma grazie a lui.

La storia di Angela, madre nel romanzo e nella vita dell’autore: una donna dal carattere impossibile, insopportabile, despota, che sa come ottenere quello che vuole e laddove non riesce calpesta e passa oltre. Non è facile essere figlio di cotanta madre, e il romanzo forse alla fine ha questa funzione: trovare un perché.

E il perché rompe gli schemi, demolisce il mito della figura della “madre” intoccabile. Il figlio racconta la madre negativa e ciò che viene fuori è un rapporto tempestoso, di odio e amore, di un cordone che non si riesce a recidere, pur se nella vita tutti, prima o poi, prendiamo una strada che ci allontana dalle madri e con quel cordone facciamo pace (o almeno così ci sembra).

Ma con Angela tutto diventa più difficile, giovane o vecchia, ormai decrepita nel corpo, è un fiume in piena che non si arresta, che rischia di travolgere ciò che incontra al suo passaggio.

Tra toni da commedia mescolati a quelli della tragedia, tra lingua italiana e lingua napoletana, Il fuoco che ti porti dentro non è soltanto la madre che non hai scelto e si impone come un destino ineluttabile, ma è tutto ciò che nella vita non sappiamo manovrare nonostante la cultura, i libri, la conoscenza: rimane un mistero. Ivi compreso l’oscillare tra sud e nord, due geografie dell’anima che oltre ogni possibile retorica definiscono un’appartenenza scelta e l’altra capitata a chi nasce al sud e al nord va a vivere e ridefinisce ciò che hai alle spalle e spesso “sulle” spalle.

Ciò che brucia, e non potrebbe essere diversamente perché di fuoco è.

“Passa ‘a vita e nun ce ne accurgimmo…

Ma che ho saputo io di lei per tutti gli anni della mia adolescenza e giovinezza e della sua maturità, quando vivevo la vita mia non incrociando mai la sua se non per casuali collisioni?

Che ne sanno di noi i nostri figli quando non sono più i bambini con gli occhi rivolti a noi e non ancora gli adulti costretti a misurarsi con la nostra decadenza e fine?

Per lungo tempo non diamo vita che a fortuite eclissi, allineandoci una volta ogni tanto come pianeti adusi a orbitare da soli nello spazio.

 (…) È forse questo tempo della nostra pienezza, il momento buono che è sparito e non può tornare, ciò che ci fa soffrire perché ci lascia dentro la nostalgia della su scomparsa e ci avvelena il presente con la rabbiosa rimembranza della nostra vita migliore?”

IL ROMANZO

Il fuoco che ti porti dentro racconta la vita e la morte di Angela, una donna dal carattere impossibile. Una donna che incarna in maniera emblematica tutti gli orrori dell’Italia, nessuno escluso: «il qualunquismo, il razzismo, il classismo, l’egoismo, l’opportunismo, il trasformismo, la mezza cultura peggiore dell’ignoranza, il rancore…»

Questa donna era la madre dell’autore. Il romanzo è un’indagine nella vita, nelle passioni e negli odi di una donna, alla ricerca di una spiegazione possibile. La forma è quella della commedia, il contenuto quello della tragedia. Quale esperienza manifesta o occulta, quale frustrazione, quale nascosta ferita può renderci tanto ostili, rabbiosi, refrattari a qualsiasi forma di pacificazione? Quale motivo, semplice o complesso, sta dietro la furia di Angela: la guerra che la segna da bambina? un padre morto troppo presto o una madre morta troppo tardi che le ha, a sua volta, infelicitato la giovinezza e la maturità? un atavico complesso d’inferiorità o l’appartenenza alla cultura del Meridione oppresso le cui ragioni Angela vorrebbe far valere contro l’odiato Nord usurpatore? Oppure, più semplicemente, il fuoco interno che la divora è privo di qualsiasi ragione come il cuore nascosto di un vulcano? Antonio Franchini, con maestria e misura, eccesso e discrezione, ha scritto un romanzo-memoir popolato di personaggi che circondano una protagonista sempre al centro della scena. Un’eroina eccessiva e imprevedibile, capace di alternare toni drammatici e ossessivi a momenti decisamente comici. È un racconto che mescola la commedia eduardiana al furore ctonio, l’urgenza di uno sfogo viscerale alle cadenze studiate di una messa in scena, di una vera e propria recita

L’autore

Antonio Franchini

E’ nato a Napoli nel 1958. Ha esordito nel 1992 con Camerati. Quattro novelle sul diventare grandi. Per Marsilio ha pubblicato: Quando vi ucciderete, maestro? (1996, 2019), Acqua, sudore, ghiaccio (1998, 2021), L’abusivo (2001, 2020), Cronaca della fine (2003, 2019), Signore delle lacrime (2010, 2020), Memorie di un venditore di libri (2011) e Leggere possedere vendere bruciare (2022). Nel 2020, per NNE, è uscita la raccolta di racconti Il vecchio lottatore. Vive a Milano e lavora nell’editoria

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