Ho iniziato a scrivere questo diario senza un preciso obiettivo, giusto per raccontare cosa avviene o può avvenire dentro aule scolastiche, perché non se ne parla così com’è.
Queste pagine hanno acquisito per strada un loro perché anche in virtù del fatto che sono seguite, la qual cosa spero sia dovuta proprio all’interesse che può suscitare scrivere e parlare di scuola in maniera diversa.
Certo sono spesso animata da una vena polemica, ma ciò è dovuto al tentativo di mostrare quanto sia diverso ciò che all’interno delle classi succede e ciò che esiste all’esterno, perché è difficile parlare di scuola e interrogarsi sulla bontà degli interventi legislativi che non incidono – il più delle volte – sulla vita della scuola e sui suoi reali bisogni.
Arriviamo così al racconto di oggi. E rispetto all’ultima pagina si cambia registro. Per motivi di riservatezza diremo che ciò che raccontiamo è accaduto all’insegnante x, nella scuola y, con un dirigente k.
Cominciamo dai fatti: l’insegnante x per motivi personali prende un giorno di permesso. Accade che lo stesso insegnante – per una coincidenza occorsa anche in virtù di un forte stress al quale si è sottoposto per il poco tempo richiesto per svolgere ciò che aveva necessità di fare – il giorno dopo ha un malore.
Avverte la scuola che è impossibilitato a recarsi al lavoro. Non chiama un medico curante (che di questi tempi come sappiamo difficilmente effettuano visite a domicilio) e decide di recarsi dallo stesso nel pomeriggio anche per verificare la causa di quel malore.
Come sappiamo in caso di richiesta di visita fiscale bisogna rispettare le fasce di reperibilità. Ma, come ha fatto altre volte, l’insegnante x si reca dal medico alle ore quattro con l’intenzione di farsi comunque rilasciare l’attestazione di presenza nel suo studio.
Alle cinque al domicilio si presenta la visita fiscale. Gli viene riferito che l’insegnante x è dal medico e già sulla via del ritorno. Ma il medico fiscale non aspetta, avverte si faccia fare il certificato necessario dal medico.
Così il giorno dopo a scuola l’insegnante x si reca in segreteria per regolarizzare la sua richiesta di malattia e presentare il certificato che attesta la presenza nell’ambulatorio in orario di visita fiscale.
Purtroppo commette un errore: invece di allegare quel certificato, allega la richiesta di analisi (stesso foglietto bianco) prescritte dal medico.
Il giorno dopo, mentre fa lezione, un custode avverte l’insegnante x che deve presentarsi presso la segreteria per comunicazioni urgenti.
Così l’insegnante si reca presso gli uffici dove gli viene consegnata una busta chiusa più grande contenente comunicazioni riservate e una più piccola.
La apre e legge l’oggetto: contestazione di addebito disciplinare.
Non sa bene cosa sia e legge il seguito: dopo una serie di commi e di riferimenti legislativi, quella lettera freddamente comunica che le è stato contestato il giorno di malattia “contravvenendo al suo obbligo di rispetto delle fasce di reperibilità. La presente costituisce atto di avvio di procedimento disciplinare” e – in breve – l’insegnante x è invitato in data … a presentarsi presso gli uffici della dirigenza per il contradditorio alla presenza di un procuratore o un rappresentante sindacale.
L’insegnante x cade dalla nuvole, sulle prime non capisce, mai è accaduto niente di simile. Fa mente locale e in un’altra busta più piccola vede che vengono riconsegnate le analisi erroneamente allegate.
Torna in segreteria e fa presente l’errore: ha presentato il certificato sbagliato.
Risultato: non c’è niente da fare, l’insegnante x dovrà presentarsi per la contestazione d’addebito. La segretaria le comunica che i suoi obblighi sarebbero stati diversi e ormai è a suo carico il procedimento, che il dirigente k ha comunque concesso di farsi assistere nel contradditorio.
Ho volutamente mantenuto un linguaggio burocratico perché è su questo solco che ormai ci muoviamo.
La legge che dà ai presidi tanti poteri, non è solo fatto che riguarda un cambiamento della scuola in senso verticistico, ma scardina completamente il senso di quella che dovrebbe essere una comunità scolastica.
È vero, ci sono dirigenti e dirigenti. Per alcuni sarebbe bastata una telefonata e l’equivoco si sarebbe chiarito. Ma per altri evidentemente il potere è quello che Andreotti diceva “logora chi non ce l’ha”. Chi ce l’ha, gongola. Se ne può anche infischiare del buon senso e del rispetto della persona.
Qui non si parla di un assenteista incallito (per il quale i metodi ci sono e ci sono sempre stati) qui si parla di un giorno e di insegnante che svolge il proprio dovere, che è una persona affidabile, in un momenti di difficoltà. Qui si parla della rottura di rapporti di fiducia, di qualsiasi sentimento di appartenenza, di conseguenze che vanno dalla demotivazione al menefreghismo (che già si vedono)
Perché infatti con la tipologia del dirigente x, nessun insegnante vuole averci a che fare, poiché si finisce per temere costantemente di essere sotto controllo e con la possibilità di essere colti in fallo.
Non stiamo parlando di un’azienda (e perfino all’interno di qualsiasi azienda un buon imprenditore sa che senza l’adeguata motivazione un lavoratore mai renderà abbastanza). Stiamo parlando dell’applicazione di meccanismi economici e gerarchici all’interno della scuola, che ha bisogno esattamente del contrario: partecipazione, condivisione, fiducia degli attori coinvolti.
Inutile dire che l’insegnante x si è sentita una merda di fronte a quel burocratichese che afferma un potere: il potere del superiore di fronte a colui che si sta trasformando in subalterno, perché ad alcuni dirigenti – diciamo la verità – fa un sacco di bene marcare il territorio e sentirsi dire: sì padrone. È scritto nella psicologia di molti, non è un peccato, è solo una cosa che può accadere e per questo la legge è tanto più pericolosa.
L’insegnante x sa bene di non aver commesso alcuna infrazione sostanziale, eppure dovrà entrare in quella stanza a dare spiegazioni su ciò che non dovrebbe essere costretto a spiegare. Si chiama umiliazione.
Questa è anche la Buona Scuola.
Rispondi