La festa di Sant’Antonio di D.G.

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                            La festa di Sant’Antonio 

Il 13 giugno era il giorno della grande festa. Poteva sentirlo per le vie del centro già una settimana prima nell’odore dolciastro dello zucchero filato e del torrone, con le noci di cocco a fette sistemate a cascata sotto lo zampillo d’acqua. Quelle però lei poteva solo guardarle: suo padre diceva che l’acqua era sempre la stessa e non era igienico mangiarle. Lo sguardo goloso di bambina avrebbe voluto agguantarne almeno una per sentirne il bianco succoso tra i denti. La noce di cocco è stato per lungo tempo il frutto proibito e quindi desiderato.

Riviveva ogni anno la festa, l’eccitazione febbrile che portava con sé, il brulichio di persone, il fermento di voci di strada, la fiera piena di colori e odori, le bancarelle che vendevano di tutto, e la giostra, anzi, soprattutto la giostra. La ruota panoramica, in particolare, da dove potevi guardare il mondo dall’alto e provare un senso di vertigine. Quella le piaceva da matti. Quell’euforia le arrivava dritta dentro tutti gli anni alla vigilia della festa e per molto tempo l’aveva accompagnata nel crescere. L’aria fresca e le rondini di giugno, la fine della scuola, l’estate alle porte, le vacanze che cominciavano.

La cosa che le piaceva di più era guardare: rubare l’anima alle cose e alle persone. Per la festa del santo Patrono i cosiddetti tamarri si facevano il vestito nuovo per la bella stagione. Una cosa che praticamente avrebbero indossato solo quella sera. Era un tripudio di laminati, pizzi, fusciacche, balze, trine e merletti. Sottane, orecchini vistosi, collane, bracciali, indossati tutti insieme, tanto chi sa quando me li metto. Una girandola di colori accostati in maniera improbabile, a volte perfino con pessimo gusto, ma che lei trovava bellissimi. Era un’autentica sfilata di stravaganza, manichini ingenui che portavano a spasso lungo il corso principale facce soddisfatte, allegre, sorridenti, quasi quel momento fosse l’arrivo una volta all’anno della felicità e grazie a Sant’Antonio!

La sera del 13 giugno c’era anche lo spettacolo con i cantanti sul palco allestito sotto il municipio, lungo il corso era un febbricitante rimestio di persone che camminavano accalcate, una addosso all’altra, un fiume di gente che nemmeno ti ci muovevi dentro. Le piaceva quel clima vivo. Le piaceva guardare tutta quella gente, sentiva di farne parte. Gente che il giorno dopo avrebbe riposto quel vestito nell’armadio come un cimelio pronto a essere portato alla prossima occasione importante: un matrimonio, un battesimo, chissà. O forse mai più. Era il vestito nuovo per Sant’Antonio. Gente che sarebbe tornata a lavorare nei campi, nelle officine; a pulire le case dei ricchi notabili, le donne; con i letti sempre rifatti, le coperte azzurre, o verdi, o rosa tenue, tonalità d’acquarelli, le balze ben tirate, i cuscini e la bambola vestita di pizzo proprio nel mezzo. La gondola o la torre di Pisa sulla televisione, portata da qualche parente, fortunato lui che aveva visto il mondo. Gente che sarebbe uscita da quella casa per la scampagnata del ferragosto, a  scialarsi in montagna o alla marina, con la pasta al forno e le melanzane ripiene, le tovaglie grandi, il vino e tutto quanto.

Però la sera del 13 erano tutti lì, a passeggiare come tacchini sotto l’illuminazione per Sant’Antonio, una galleria bianca intagliata a rosoni verdi, gialli, rossi e blu. E le tredici lampadine su tutti i balconi tutte accese per la festa.

Camminava, respirava, e si sentiva felice, con tutta quella vita tra le mani. Quando da ragazzina alle cinque del pomeriggio guardava dalle finestre, sentiva un soffio di vento leggero, le rondini sopra la testa, e pensava: stasera posso fare tardi.

E le sembrava aperto, il mondo. E il suo corpo, sciolto e leggero.

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