“La poca luce che filtrava dalle grandi finestre creava un cono luminoso che rese visibile ai miei occhi il soffitto affrescato. Proprio quello che avevo visto: un grande cielo, nuvole bianche che sfumavano nell’azzurro e risfumavano nel bianco; dai quattro angoli delle pareti si muoveva una trama leggera di foglie e di petali dai colori tenui, come se da quegli angoli provenisse un soffio di vento che faceva convergere il movimento verso il centro del soffitto. Un grande acquerello Era sorprendente. Arioso.”
“Quando eri piccola una volta mi hai detto che se una stanza si affaccia su un giardino, ha il soffitto dipinto come un acquerello”.
“Te l’ho detto io?”
“Guarda, è vero”. Anna indica il soffitto con i margini a stucchi decorati, sul quale si rincorrono nuvole di colore man mano che il fogliame del giardino si muove e ondeggia nella brezza che lo rinfresca. Sfumature lievi di azzurro, di rosa. Che si sovrappongono, respirano. Anna si volta a stampare un bacio sulla guancia di Edith”.
La seconda descrizione è certamente migliore della prima, ma è indubbio che l’oggetto della descrizione è identico, così come lo è la situazione: due personaggi che “immaginano” che in una casa con certe caratteristiche ci sia un soffitto affrescato come un enorme acquerello che riproduce per giunta la stesso soggetto.
Una coincidenza sorprendente: la prima descrizione è la mia, la seconda è contenuta nel romanzo “L’età del desiderio,” di Jennie Fields. Poiché escludo che la Fields, scrittrice americana, abbia letto il romanzetto di una sconosciuta di qualche anno prima, va da sé che la cosa bella è che certe suggestioni si percepiscono e si restituiscono in modi analoghi. La sensibilità ha un sapore magico.
Ah! Dimenticavo! I personaggi hanno lo stesso nome: Anna.
Comunque questa premessa per arrivare a parlare di un libro che mi è piaciuto molto. Un libro-comodino, ovvero una di quelle letture a piccoli morsi che si può prendere e lasciare: il libro se ne starà buono ad aspettare senza perdere un briciolo del suo fascino, non appartiene a quel genere che richiede impazienza o voracità.
È un romanzo piacevolmente lento, descrittivo, ma mai noioso, come una passeggiata di sera in campagna, quando l’aria è fresca, non si deve correre da nessuna parte e l’unica cosa è godersi i particolari intorno e affondarvi lo sguardo fino a perdersi.
Il libro è un romanzo biografico della scrittrice americana, trapiantata a Parigi, Edith Wharton (prima donna a vincere il premio Pulitzer nel 1921 con L’età dell’innocenza, dal quale Scorsese ha tratto il suo film) basato sulla sua corrispondenza privata. Incentrato soprattutto sulla passione amorosa tra la scrittrice e il suo amante – Morton Fullerton – un giovane spiantato che le fa scoprire l’amore fisico:
“Il suo tocco, la sua presenza, le fanno girare la testa, ma non fino al punto di accettare tutto. Lui la aiuta a togliersi il cappotto e, senza parole, comincia a sbottonarle il vestito.
<<Morton..>>
<<Shsh. Non c’è bisogno di parlare. Abbiamo bisogno l’uno dell’altra, amore mio. Ne abbiamo bisogno>>
Edith vede il loro riflesso nello specchio vecchio stile appeso alla parete. Potrebbero avere qualsiasi età. Ma la loro passione, il loro desiderio di toccarsi è innegabile. Quanto amanti hanno trascorso momenti catturati da quello specchio? Quanti amanti, in fuga da esistenze opprimenti, matrimoni, tristezza, hanno trovato pace in quella camera spoglia, lasciando che la passione crescesse fino a travolgere le loro miserabili esistenze?”
Edith compie il suo inevitabile percorso nel girone del desiderio per un uomo passionale e sfuggente, fino ad approdare alla sua conclusione:
“Sono due cuori separati. Lo saranno sempre. Quando lui la penetra, le lacrime le scorrono sul viso e non si fermano fino a quando lui non ha raggiunto la sua soddisfazione (…..)
<<Non ci somigliamo per niente.>> Dice lui. Il suo tono non è crudele, è quasi ragionevole. <<Io sono una creatura del desiderio. E tu…>>
<<Una creatura dell’intelletto?>> propone lei.
<<Eppure hai la capacità, l’abilità di desiderare quello che io desidero. Non hai avuto paura. Hai la stessa fame di passione che ho io. È stata una rivelazione. Invece hai messo tutto a tacere. L’hai seppellito. Non ti caspico.>>
<<Sono stanca>>
<<Di me? – chiede lui, quasi speranzoso – Molti si stancano di me dopo un po’>>
<<Non sono mai riuscita a capire, fin dal primo giorno, cosa sono per te.>>
Eppure la vera forza – o almeno io l’ho percepita come tale – sta nel personaggio di Anna Bahmann, la segretaria di Edith, donna dalla grigia apparenza che la segue fin dall’infanzia e che trascrive a macchina tutte le pagine manoscritte di Edith:
“Non la sente mai arrivare, la sua segretaria. Come sempre vestita di lana grigia. Anna è un passerotto, e si posa nelle stanze altrettanto lievemente”.
Anna vive la sua esistenza nell’ombra della sua amica/padrona, la sua vita è completamente al servizio di Edith: la comprende, la stimola, la consiglia e la biasima perfino, per il suo adulterio e per quell’uomo che Anna sente come una minaccia nella vita di Edith. È la coscienza vigile, tanto che per non dover sopportare il suo sguardo e il rimorso, a un certo punto Edith non esiterà a liberarsi di lei, affidandole il marito malato perché se ne ritorni in America.
Anna vive senza mai amare né essere amata, ma è appagata dall’amore per quella creatura capricciosa e piena di talento, quasi fosse sua figlia, sua amica, la sua ragione di vita.
Nelle ultime pagine i personaggi maschili si allontano sullo sfondo e le due donne saranno ancora insieme:
“<<Ci faremo compagnia a vicenda, che ne pensi? Due vecchie signore con i loro lavori a magia e la poesia che si prendono cura l’una dell’altra.>>
Anna alza la testa, lo sguardo triste e allo stesso tempo grato.
<<Sì – risponde – solo io e te. Ci faremo compagnia.>>”
E sarà Anna – la grigia Anna – a sorprendere Edith e il lettore nel finale:
“Herz. Edith è sempre stata il cuore di Anna. Che fortuna aver goduto del suo amore per tutti quegli anni. Quando gli altri affetti le sono venuti meno, Anna c’era sempre.”
Un romanzo raffinato. Quando, letta l’ultima pagina, si richiude il libro, si rimane con lo sguardo appeso al soffitto e la sensazione di chiudere la porta su una bella villa con un meraviglioso giardino che ci dispiace lasciare. Nel salone, là dentro, c’è un affresco dai colori tenui. Tutte le case con giardino ne hanno uno.
“L’ha fatto per me. Le parole echeggiano nella mente di Edith. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per me. Edith è troppo stanca per finire, come se il cuore fosse stretto in una morsa, incapace di pompare sangue a sufficienza per sostenerla. Posa la penna e, alla cieca, riguadagna il letto.
Domattina dovrà ridettare da capo la lettera alla segretaria. Le parole scritte di suo pugno sono troppo confuse dalle sue lacrime, e l’unica persona in grado di leggere quei ghirigori intricarti e macchiati di pianto se n’è andata per sempre.”
L’età del desiderio, Jennie Fields (Neri Pozza)
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