«Si può rivestire adesso.» Come tutti i dottori, anche il giovane dottore del Pronto Soccorso che stava di fronte ad Enea aveva l’aria del professionista che non si sbottona e ti fa penare prima di dirti cosa ti sia successo ed Enea in pena lo era e parecchio, ma cominciò a vestirsi, aveva il fiato pesante e faceva fatica a coordinare i movimenti.
«Dottore, può dirmi cosa è stato?»
«Diciamo che non è stato un infarto, così si tranquillizza. Anche perché se lo fosse stato non staremmo qui a parlare. È stato un malore, che le ha dato sintomi molto simili all’infarto, ha fatto bene a chiamare il 118. Il cuore comunque è affaticato e non sottovaluterei questo allarme. Aveva fatto degli esami in precedenza?»
«No, è diverso tempo che non prendo in considerazione la mia salute»
«Al contrario dovrebbe, è ancora giovane, il suo peso, ad esempio, è decisamente troppo. Le consiglio di andare al più presto dal suo medico curante e farsi prescrivere gli accertamenti e i controlli che le segnerò. Poi non le resta che mettersi a dieta e fare del moto, magari si rivolga a uno specialista. Vedrà, in poco tempo tornerà come nuovo. La saluto adesso. L’infermiera l’accompagnerà per le dimissioni, là potrà anche ritirare il referto e le indicazioni per il suo medico curante.»
Enea era confuso, il dottore aveva parlato ostentando una sicurezza fredda, lui invece avrebbe voluto fare domande e chiedergli di restare, non voleva tornarsene a casa da solo e rimanere da solo e rimuginare da solo e spaventarsi da solo. Si sentiva cacciato via.
L’infermiera solerte lo prese per una braccio, facendogli cenno di alzarsi. Attraversarono un corridoio,c’erano pazienti ovunque, in piedi, seduti, in barelle. La maggior parte di loro – notò Enea – aveva qualcuno accanto. Poi entrarono in una piccola sala, l’infermiera gli disse di aspettare il suo turno e, una volta ritirata la busta, sarebbe potuto andare.
«Va via?» Chiese Enea senza quasi volerlo a quell’infermiera giovane e sbrigativa.
«Lei non ha più bisogno, stia tranquillo, può tornare a casa.»
Enea si lasciò andare sulla sedia. Quanto ci sarebbe stato da aspettare? In cuor suo sperava fosse un’eternità, là dentro si sentiva al sicuro.
«Può tornare a casa» Aveva detto l’infermiera. Anche lei voleva sbarazzarsi di lui al più presto, questa era la verità, tutti sembravano volersi sbarazzare di lui.
Già! posso tornare a casa, ma il fatto è che io non ci voglio tornare a casa. Lo so come a va a finire. Va a finire che mi sembra di impazzire in quella casa fottuta. Se solo me ne potessi star qui, in un letto d’ospedale, dove qualche estraneo che non hai vergogna di chiamare ti soccorre se hai bisogno di una fottutissima pillola, o di un maledetto schifosissimo pasto, che è sempre meglio delle porcherie che ingurgito in quantità industriali. Forse dovrei farmi ricoverare, una di quelle belle cliniche dove ti disintossicano. Ma quelle non le passa la ASL, quelle te le devi pagare. E con che cosa la pago io? Puttana maledetta, tutto mi hai portato via, anche la dignità, anzi, soprattutto la dignità, ad essere precisi. Io non voglio altro che fartela pagare, al diavolo le stronzate che mi dicono tutti. L’unico istinto vitale che mi morde dentro è la voglia di fartela pagare, stronza….»
«Enea Longo?» La voce dallo sportello lo colse di soprassalto mentre si leccava i pensieri.
«Sono io.»
«Il suo referto… venga, deve firmare. Metta una firma qui.»
Enea si avviò, prese la penna che gli stava allungando l’impiegato, una bic nera, e firmò il foglio bianco: e-n-e-a-l-o-n-g-o- , gli sembrò di firmare la sua condanna con tanto di nome e cognome.
«Arrivederci.» L’impiegato riprese la penna senza neanche alzare la testa, ritirò il foglio e lo mise in una scatola, prendendo subito un’altra pratica, come un robot. Enea lo guardò e si chiese di che colore avesse gli occhi, quale espressione contenessero, se a casa avesse dei figli e una moglie, se quella notte aveva scopato. Per un attimo ebbe l’impulso di strozzarlo, ma fu solo un attimo. Non era lui che voleva strozzare in realtà. Prese la sua busta e si incamminò all’uscita.
L’aria fuori gli sembrò insopportabilmente calda, camminò lentamente, era uscito di casa la sera prima in ambulanza pensando di avere un infarto, non aveva con sé né soldi né documenti, avrebbe potuto fermarsi in un angolo sotto il colonnato e sembrare un senzatetto, un barbone qualsiasi.
«Sparire per sempre… Ma se sparisco le faccio un favore, non deve affrontare neanche i sensi di colpa la stronza. Io invece voglio che mi veda, tutti i giorni, non m’importa mi veda in questo stato, basta che mi veda, perché quello che sono è il risultato di quello che mi ha fatto. Hanno un bel dire tutti che devo pensare a me, che devo rifarmi una vita, che la devo lasciar perdere. Ma quando una donna ti succhia il sangue e poi ti lascia senza una parola a marcire nel poco che non si è portata via della tua vita e delle tue cose non merita di essere lasciata in pace. Merita di avere la vita rovinata così come lei ha rovinato la mia»
«Enea… Enea….»
Dall’altra parte del marciapiede un uomo lo stava chiamando, Enea si voltò ma non riconobbe quel volto che gli stava andando incontro.
«Enea Longo…. Ma sei proprio tu?»
Enea continuava a guardarlo inespressivo cercando un particolare in quell’uomo che gli ricordasse chi cazzo fosse.
Giorgio, Giorgio Martini, sono passati un po’ di anni, ma hai sempre la stessa faccia…»
Ecco chi era Giorgio, Giorgio Martini, lo sgobbone della VC, quello che gli passava sempre gli esercizi di latino. Ma come avrebbe potuto riconoscerlo, non c’era niente del ragazzo di trent’anni prima in quell’uomo in giacca e cravatta.
«Ti ricordi di me? Dire che viviamo nella stessa città ma non ci siamo più visti…»
«Davvero…. Sì adesso mi ricordo, davvero strano, non ci siamo più visti…»
«Bisognerebbe organizzarla prima o poi una bella rimpatriata della gloriosa VC, io qualcuno l’ho ritrovato su face book sai…. Il Bellini, il Grossi.. te li ricordi? Siamo usciti insieme qualche volta, ora che ti ho ritrovato si organizza… come ti butta? Sei sposato? Hai figli? Io lavoro in una finanziaria proprio qui all’angolo, ma guarda te che coincidenza. Sono sposato e ho due figli, maschi… e tu, dimmi un po’ di te..»
Ma era sempre stato così loquace sto cazzo di Martini? Non lo ricordava così, era un ragazzo timido e foruncoloso, ma forse è che quando rivedi i compagni di scuola tutti ti sembra fossero timidi e foruncolosi, Enea a malapena ricordava com’era lui ai tempi del liceo, figurarsi se poteva ricordarsi del Martini del Grossi e del Bellini, l’unico Bellini di cui al momento avesse memoria era il cocktail. Lui si era sempre tenuto alla larga dai ricordi, dal passato e dai rimpianti. Lui si era laureato ed era diventato uno psicologo e aveva incontrato una donna bella da levare il fiato, più giovane di dodici anni. Se l’era sposata con un impeto pari a quello dell’attaccante che fa il gol più spettacolare della sua carriera. Cazzo quant’era bella Liliana, con quei tratti orientali presi dalla madre e un corpo avvenente, i capelli lunghi e lucidi come seta, le labbra rosse e corpose che ti facevano venire voglia di mangiarle, i seni piccoli e pieni con due capezzoli che diventano piccole cupole tra le dita… e ora tu Martini del cazzo ti presenti qui e mi chiedi come sto? Dieci anni fa dovevi chiedermelo… mi faccio le seghe pensando a quella puttana che mi ha lasciato con l’inganno Martini. Eh già… tu magari tua moglie manco te la scopi più, vi sedete alla tv la sera e vi bevete le stronzate delle fiction, lei è sfatta e tu ti sei fatto l’amante. Io no Martini, io avevo un lavoro una casa e una famiglia, avevo due figli, due maschi anch’io. Avevamo comprato una casa che per averla ci siamo indebitati fino al midollo, perché Liliana amava le belle cose, la bella vita, la bella gente. E dopo la casa la villa in campagna, perché Liliana amava i cavalli e voleva che anche i suoi figli amassero i cavalli e il proprietario di quella tenuta aveva i cavalli Martini, pensa che stupido. Un uomo brutto come pochi, un coglione con i soldi e i cavalli. E li ho trovati io a letto insieme e quella notte me la sono scopata perché si ricordasse come si scopa, e lei godeva Martini, sapessi come godeva…. Se non fosse stato per quel corpo che mi faceva impazzire avrei dimenticato che era la madre dei miei figli e l’avrei ammazzata quella cagna ambiziosa. Adesso si prende anche la casa, io non riesco a pagare gli alimenti, Martini, peso centoventi chili e bevo, pensi potrei fare lo psicologo in queste condizioni? Ai miei figli faccio schifo, loro vanno a cavallo nella tenuta del loro nuovo padre e lei è diventata la padrona là dentro Martini e dice che non ho mai avuto spina dorsale, che non sono un buon padre, che non valgo niente….. e tu ti presenti adesso e mi chiedi come sto? Sto che sto tornando in uno schifo di appartamento in affitto dove devo raccogliere il vomito che ho lasciato ieri sera, birra e cioccolata, e che ho avuto quasi un infarto stanotte… vaffanculo Martini… vaffanculo…
«Enea… Enea.. ma ti senti bene….?…»
«Cosa?…. io? Sì, sto bene… scusa… scusa Martini, oggi è una giornata un po’ storta, magari ci sentiamo e ci vediamo un’altra volta»
Certo, certo… ma sei sicuro di star bene?»
«No, non sto bene affatto, ma ho un appuntamento con un paziente tra poco, sai, faccio lo psicologo, devo andare, scusa Martini, devo andare»
«Ti lascio il mio biglietto da visita, ci sono i miei numeri, chiamami mi raccomando, tu sei su face book? Davvero, organizziamo una sera anche con gli altri.»
«No, non ci sono su face book , ti chiamo magari, adesso devo andare, sono in ritardo. Mi ha fatto piacere Martini.»
«Anche a me Enea….. fatti sentire mi raccomando.»
Enea si incamminò e sentì che Martini alle sue spalle era rimasto immobile a guardarlo, perplesso. Faceva di sicuro pena anche a lui.
«La stessa faccia, ha detto che ho la stessa faccia, ma vaffanculo…. »
Diede un’occhiata al biglietto: Lucio Martini, Sales Account Executive. BMP.
«Che cazzo fa un sales account executive? Sei ancora lì che guardi Martini? E allora guarda, guarda che ci faccio con il tuo biglietto da visita del cazzo.»
Enea strappò il biglietto in due, quattro, sei pezzi pensando ai bigliettini con le versioni di latino che gli passava Martini. Poi se li buttò alle spalle.
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