M’AMA – Il Signor G.

thumb_big_normal_bc7ea0ecfbdd4643d8ef02c402d862e4«A noi due adesso».
A colpi di mouse Nina aveva dato via alla ricerca. Andava a caso, un link dopo l’altro, cercando di ironizzare su stessa. Immagine dopo immagine le reazioni andavano dalla sorpresa, allo stupore, allo sgomento. C’era un mondo là dentro. Dopo qualche minuto decise che ne aveva abbastanza.
«Per oggi può bastare. Intanto mi sono fatta un’idea.»
Si sentiva sollevata per aver rotto il ghiaccio, dopo l’iniziale diffidenza, poco per volta ci sarebbe arrivata, intanto poteva ritenersi soddisfatta. Chiuse le pagine una dopo l’altra, uscì dal programma e spense il computer. Il monitor nero le restituì la sua faccia, ma in quel momento le parve che là dentro ci fosse riflessa la sua anima nera. E in quel nero, di nuovo, fece capolino la perplessità.
«No Giacomo, non ci siamo. Proprio no, è inutile. Non ce la farò mai. Davvero, non insistere. Poi come faccio scusa? Questa idea di internet, la spedizione. E se poi il pacco arriva e lo prende Caterina? Sopra c’è il mio nome, mica il tuo, quella curiosa com’è magari lo apre. Come glielo spiego a una ragazzina di 12 anni? Sì…. C’ho pensato. Anche al piano B. Ma che cambia farlo recapitare a Sandra? E poi che le dico scusa? No Giacomo. Siamo seri, meglio lasciar perdere. Meglio accettare il fatto che non sono capace. Fammi andare via, che tra un po’ torna la tribù affamata e ancora neanche so che gli darò da mangiare. È tardi. E poi sono queste le cose di cui devo preoccuparmi, caro mio! Tre figli non sono mica uno scherzo. Bruno più si avvicina la maturità più diventa insopportabile. Lo sai com’è, no? Carletto è stato mollato dalla ragazzina per la seconda volta in sei mesi e neanche vuol mangiare più. Insomma Giacomo, ho il mio da fare. Chiuso.»
Nina girò le spalle e andò in cucina a preparare la cena. Voleva fare la crema bianca per Carletto, tante volte almeno quella l‘avesse mangiata. E come tutte le sere avrebbe riunito intorno a quel tavolo la famiglia a raccontarsi i fatti della giornata. Di questo Nina era fiera: erano riusciti a rimanere affiatati e complici, perfino più di prima, grazie a lei.
Poi, sul tardi, prima di decidersi ad andare a letto, Nina fece  il giro dell’appartamento, ormai da due anni era un’abitudine della quale non riusciva a fare a meno: spegneva le luci, controllava che il gas fosse chiuso, aspettava che i ragazzi si fossero addormentati; quando era sicura di avere tutto sotto controllo, si infilava nel letto, esausta. E lì, come tutte le sere, ricominciava.
Una volta era lei sempre la prima ad andare a letto. Sprofondava sotto le coperte e finalmente poteva tirare un sospiro di sollievo. Da lì le piaceva ascoltare i rumori della sua casa, della TV accesa, dei ragazzi che a volte litigavano, della voce di Giacomo che interveniva a calmarli. Del silenzio in cui con il passare delle ore lentamente scivolavano le loro esistenze traghettate verso il sonno notturno. Quasi mai si addormentava. Leggeva, o semplicemente ascoltava a occhi chiusi finché Giacomo non le si fosse steso accanto. Prima era lui ad  avere tutto sotto controllo. Era così che funzionava la vita.
«Dormi? » A volte le chiedeva.
Quando il tono interrogativo giungeva a lambire il suo torpore, Nina sapeva era una richiesta. Così si girava sorniona nel letto e facevano l’amore. Non avevano mai smesso lei e Giacomo, perfino quando i bambini erano piccoli, erano sempre riusciti e ritagliarsi un momento per loro. Doveva essere questo il segreto della loro unione, solida dopo vent’anni tre figli e due carriere. Non avevano mai smesso di piacersi, di toccarsi, di comunicare con il corpo, di appartenersi.
«Adesso è dura Giacomo».
A dirla tutta i primi tempi non c’era stato né tempo né modo di pensarci. Da un giorno all’altro era stata sbattuta in mare aperto come un naufrago. E aveva faticato come un animale per riportare tutti in salvo a riva. Poi però, passata la tempesta, aveva dovuto dare un ordine alla vita, tre figli gliel’avevano imposto. La notte era stata la parte più dura da affrontare. Il vuoto nel letto. Chiudeva gli occhi e risentiva la voce di Giacomo.
«Dormi?»
Sera dopo sera in quei due anni aveva cominciato a sentire nel silenzio le sue mani addosso, le percepiva mentre le dita scorrevano lente sulla sua pelle. Con tutta se stessa avrebbe voluto rivivere un amplesso, uno solo, uno che le servisse  a sentire che a 46 anni non era sola e aveva ancora un corpo che poteva godere. Ma non c’era mai riuscita. Arrivava sempre un punto in cui il vuoto e il silenzio spodestavano l’immaginazione e vincevano sull’eccitazione e sul sogno.
«Non dovevi farmi questo Giacomo. Non si può morire di punto in bianco nel mezzo della vita».
Il guaio è che non riusciva nemmeno a scacciarlo. Se ci fosse riuscita, la notte avrebbe potuto dormire. Dio solo sa quanto ne aveva bisogno, un sonno vero, un’assenza dal mondo di una notte, almeno una notte tutta intera. Invece continuava a sentire l’alito di Giacomo soffiarle sul viso. Era lì, era con lei, e la guardava con il desiderio che aveva sempre negli occhi mentre stava per baciarla. Ne vedeva ogni tratto, ogni particolare. E tutte le sante volte tremava, tremava e desiderava quel bacio come mai niente aveva desiderato nella vita. Nemmeno lui.
Era riuscita a salvare i naufraghi dalla tempesta, ma quella solitudine notturna, affamata e raminga, no, non riusciva a scacciarla. Tutte le sere tornava come un esattore implacabile a riscuotere la sua imposta, una fetta di dolore che non se ne voleva andare.
«Lo sai no? Io non ci riesco, mi sentirei peggio dopo. Voglio te Giacomo. Te maledizione, riesci a capirlo questo? Io tutta la vita ho fatto l’amore solo con te. Quindi per favore vattene. Vattene.».
Com’è che a un certo punto fosse spuntato il Signor G., Nina non lo sapeva bene.
«Giacomo, ma per favore, mi ci vedi me con il Signor G.? non so neanche da dove cominciare…. »
Era stato Giacomo a suggerirglielo. Una notte che non riusciva a dormire. Aveva sentito un fruscio dietro la tenda, come un colpo di vento sopraggiunto a gonfiarle. Si era alzata di scatto nel mezzo del letto, ma la tenda era chiusa, ferma. Giacomo dalla foto sul comodino sorrideva, come sempre.
«Certo, sorridi. Sorridi tu. Ormai sorridi per l’eternità».
Era soprattutto durante la notte che Nina provava una rabbia sorda che la faceva tremare, un sentimento molto simile all’odio. Più fissava quella maledetta foto che non rispondeva, quel viso amato che le sorrideva, più avrebbe voluto fracassarla contro il muro. Non riusciva a dominare la paura. Tutto quello che alla luce del giorno sembrava poter controllare, di notte si trasformava in disperazione e terrore. Avrebbe voluto qualcosa da prendere a pugni,  altro che cercare il Signor G.! Un sacco a un gancio, un cuscino, qualsiasi contro cui sfogare la rabbia.
Ma quasi sempre Giacomo arrivava nel mezzo di quegli attacchi. Lì, a guardarla, immobile ai piedi del letto con lo sguardo che le diceva…. Tranquilla piccola, stenditi, rilassati, spogliati… lo so di cosa hai bisogno Nina…
Tranquilla piccola. Stenditi. Rilassati. Spogliati…
Nell’assenza di suoni, solo lo sguardo di Giacomo fisso nel suo. Le parole le aveva dentro, e le ripeteva, le ripeteva, le ripeteva…
Tranquilla piccola. Stenditi. Rilassati. Spogliati…
Per quanto avrebbe voluto combattere contrastando quell’onda di paura mista a furore, solitudine e voglia, erano quelle quattro parole ripetute come una nenia le sole che riuscivano a calmarla.
Notte dopo notte, alla fine aveva compreso che il corpo ha le sue leggi di natura e maledice l’assenza d’amore più di quanto la ragione possa controllare. Aveva dovuto imparare la forza: era stata una lezione che come uno scolaro diligente aveva ripassato ogni sacrosanta mattina dal momento in cui metteva i piedi a terra. Rimaneva seduta per qualche istante sul letto e sentiva il vuoto alle sue spalle, pesante come un macigno addosso. Avrebbe voluto stendersi di nuovo e rannicchiarsi. Rimanere per sempre sulla zattera del suo letto ad aspettare l’onda che l’avrebbe travolta definitivamente. Poi guardava la porta chiusa, oltre la quale c’era il fragore della vita che doveva andare avanti e aspettava lei per dare il via a un altro giorno. Sapeva di non potersi sottrarre. Quella porta la doveva aprire.
«Sveglia ragazzi, è tardi.»
E finalmente i rumori del giorno rompevano il silenzio della notte e mettevano a tacere i lamenti del corpo.
Alla fine però si era convinta e c’aveva provato. Aveva superato scogli ben più duri di quello. Aveva dato prova a se stessa e agli altri di risorse che nemmeno sospettava di possedere. Aveva dovuto cambiare pelle e testa, riorganizzare e orchestrare. In fondo quella era una specie di bazzecola che le sarebbe stata d’aiuto. Nina sapeva bene che Giacomo non se ne sarebbe andato, sarebbe tornato testardamente a trovarla tutte le notti.
Tranquilla piccola. Stenditi. Rilassati. Spogliati…
Aveva cominciato a cercarlo su internet e l’aveva trovato. Era stata la cosa più facile del mondo. E lì, dio solo sa (anzi, meglio non lo sappia se è come dicono) aveva visto di tutto. Il signor G. non era uno, ma tanti, bastava scegliere: classico, realistico, stimolatori, maxi, neutri, doppi, neri, colorati perfino di vetro plastificato.
«Ma secondo te io mi infilo quel coso tra le gambe?»
Silenzio.
Giacomo non rispondeva.
Durante il giorno non c’era mai, quando lo cercava e ne aveva più bisogno ecco che lui spariva.
«Certo è facile per te…. Arrivi quando ti pare, mi tormenti, e poi quando ti chiamo…. Niente».
«Maaaamma… dov’è la felpa rossa? » Urlò all’improvviso Caterina dalla sua stanza.
Nina presa di soprassalto, confusa davanti a un vibratore color carne striato da venature da sembrare vero,  chiuse di colpo la pagina con il cuore che le andava a mille, come se fosse stata sorpresa a uccidere qualcuno.
«Cosa??… »
«La felpa rossa mamma, dai, dov’è? Non la trovo, l’avevo lasciata sulla sedia.. »
«E sarà in lavatrice. Non ci puoi mica vivere addosso a quella felpa… »
«Ma lo sai che ci tengo… »
«Sì, ma ogni tanto ha bisogno d’essere lavata. Tutto qui. Mettitene un’altra. »
Di nuovo silenzio.
«Lo vedi Giacomo? Lo capisci anche tu che te ne devi andare».
Stavolta la foto era quella sulla scrivania. Lì erano insieme, al mare. Giacomo continuava a fissarla anche da lì. E fu in quell’attimo, all’improvviso, che Nina comprese. Per la prima volta non ebbe l’impulso rabbioso di fare a pezzi quella, come tutte le altre foto. Anzi. Sorrise.
Il signor G. stava nella promessa che si erano scambiati un giorno che sembrava per sempre: insieme nella buona e nella cattiva sorte. Era questo. Insieme comunque.
Giacomo, lo sapeva bene, non se ne sarebbe andato mai. Il loro era stato un amore testardo fin dall’inizio.
«Hai vinto Giacomo. Va bene. Scelgo quello che sembra più naturale. Vada per quello».
Riattivò la pagina e stavolta senza pensarci troppo andò fino in fondo. Pagamento. Destinatario. Conferma dati. Invia. Click.  Da lì non si torna indietro.
Per sempre, Signor G.

 

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