Il buon Alessandro Manzoni, che in materia di tecniche narrative aveva già inventato tutto, ci ha lasciato un principio della sua poetica di grande rilievo per chi scriva di fatti storici: il vero storico e il vero poetico che coloro che hanno reminiscenze scolastiche senz’altro ricorderanno: lo storico è colui che illustra i fatti, li enumera quasi, colloca i personaggi nel loro divenire oggettivo in un determinato contesto.
Il poeta o il romanziere invece, pur avvalendosi di quei fatti, va oltre la superficie degli avvenimenti per scovare (e raccontare) la verità che lo storico non potrà mai manifestare, ciò che esiste nella testa degli esseri umani che hanno scritto la storia. Questa verità aggiunge (e mai toglie) alla verità storica quel risvolto necessario alla comprensione più intima, più completa, più organica, di un evento o di un personaggio.
Mimmo Gangemi, con il suo ultimo romanzo, L’atomo inquieto, incentra la narrazione sulla storia di Ettore Majorana, uno tra gli scienziati di spicco del gruppo dei ragazzi di Via Panisperna riuniti intorno a Enrico Fermi.
Il racconto della storia di quest’uomo misterioso e tormentato si avvale di elementi di verità (sulla storia di Ettore Majorana e la sua scomparsa ci sono molte testimonianze, alcune avallate dai fatti, altre frutto di ipotesi) sapientemente miscelati nell’intreccio della finzione narrativa.
Nel romanzo Majorana ripercorre gli ultimi giorni della sua vita che Gangemi “vede” in una località dello Jonio, in Calabria, dopo le innumerevoli identità assunte e la definitiva scomparsa.
È un barbone, uno straccione che vive in solutine inseguito da una “voce” nella sua testa che definisce “la creatura”, una voce che lo incita e lo sostiene per non crollare nel nulla definitivo, lui, uno dei più grandi geni del Novecento, collocato da alcuni tra Einstein e Newton.
La solitudine di un uomo in fondo timido, che si è lasciato alle spalle le scoperte e la guerra, la perdita dell’unica donna amata e del figlio che portava in grembo, lui, anaffettivo e problematico come spesso accade alle grandi menti, rappresenta con la sua storia il divario tra la necessità della scienza nel suo incedere contrapposta all’etica delle scelte, nell’eterna oscillazione tra il bene e il male, la sete di conoscenza e i limiti dell’uomo.
“Lo eviti, lo specchio, eh? Guardati invece. Così ti rendi conto di come sei conciato. Hai cinquantaquattro anni e sembri di cento. Già eri brutto, con quel volto scuro da arabo, magro che ti si possono contare le ossa, con le spalle ricurve, l’altezza che ti difetta. Ci aggiungi la barba incolta che mi pari un cavernicolo, i capelli arruffati che chissà da quando non ci passa un pettine o una spazzola, e vestito peggio, da elemosinante, con i pantaloni di orbace in piena estate, la maglietta interna lacera, le ciabatte monacali con le stringhe rotte. Certo che ti prendono in giro, Tu vuoi essere preso in giro.”
Chi ha amato e conosciuto Mimmo Gangemi nelle sue opere precedenti forse potrebbe rimanere sorpreso da questa svolta che abbandona i temi che gli sono cari, ma troverà un romanzo solido, che si legge come un giallo, (genere al quale l’autore non è nuovo) nel quale fanno capolino note che inducono a una commozione partecipata per un uomo dall’accesa sensibilità, in cui, infine, non mancano i passaggi degni di un romanzo d’avventura.
Come sempre l’autore ci regala grande narrativa.
L’OPERA
Un mistero, sette vite, una storia capace di raccontare un uomo e un secolo.
«Non t’accorgi che adesso hai chiara ogni cosa, che ti si è restituito il passato, sai chi sei e chi sei stato, le vite che hai attraversato? Non ti va di ripercorrerli i ricordi dimenticati? E allora resisti e lotta.»
Uno straccione misterioso che abita in una baracca. Un incidente. Una notte tra la vita e la morte in cui riemerge il mistero di un passato inimmaginabile. Perché quell’uomo si è trovato, per decenni, al centro della storia. È stato un professore di fisica noto e reputato a Roma, ma scomparso in un giorno di primavera del 1938, presunto suicida. È stato uno scienziato al servizio di Hitler, in corsa contro il tempo per costruire l’arma definitiva, la bomba capace di vincere la guerra. È stato un paziente in un sanatorio altoatesino, precario rifugio per ex nazisti braccati. È stato un tecnico di laboratorio in Venezuela, dopo essere arrivato in Sud America in compagnia di Adolf Eichmann. E poi è tornato di nuovo in Italia, ha attraversato altri luoghi e altre identità, fino a non averne alcuna se non quella di un disperato che campa di poco e niente in terra ionica: come a voler espiare, facendosi fantasma in vita, i troppi errori di troppe reincarnazioni. Ettore Majorana, perché di lui si tratta, in quell’unica notte rende in prima persona la sua confessione: una vicenda di guerre e di intrighi, di amore e di pericolo, attraverso cui il filo rosso della scienza e del progresso corre tingendosi, a tratti, di sangue. Mimmo Gangemi riporta in vita una delle figure più interessanti ed enigmatiche del Novecento distillando dagli scarsi indizi e dalle molte congetture sulla sua scomparsa una sontuosa e avvincente narrazione. E ci restituisce un Majorana insieme fedele alla realtà storica e pienamente contemporaneo, nella tensione estrema tra scienza e morale che percorre la sua vita e nel dilemma tra dovere e libertà che segna anche il nostro tempo
Mimmo Gangemi è nato nel 1950 a Santa Cristina d’Aspromonte. Alterna la professione di ingegnere a quella di giornalista (collabora con «La Stampa») e di scrittore. Tra i suoi titoli Il giudice meschino (Einaudi 2009), La signora di Ellis Island (Einaudi 2011), Il patto del giudice (Garzanti 2013), Un acre odore di aglio (Bompiani 2015), La verità del giudice meschino (Garzanti 2015), Marzo per gli agnelli (Piemme 2019). Nel 2017 partecipa con un suo contributo alla raccolta di saggi Attenti al Sud, edito da Piemme.
ALCUNE RECENSIONI