OLTRE L’OMBRA DI UN SOGNO

Una premessa indispensabile: questo romanzo consta di 442 pagine ed è stato pubblicato in self-publishing, cioè l’autore ha deciso di auto pubblicarsi pur non essendo un esordiente, anzi, avendo già pubblicato romanzi pregevoli (su tutti segnalo Il bosco di Marx del quale avevo scritto qui https://danielagrandinetti.blog/2021/08/26/romanzi-in-evidenza/ )

Marco Quarin ha sentito il bisogno di motivare questa scelta con un post che precede l’uscita del libro e io lo pubblico alla fine di queste righe perché il suo ragionamento mi è sembrata una dichiarazione di diritto a una “poetica” personale, una sorta di rivendicazione della propria libertà di scrittura e di espressione, coraggiosa e molto vera.

Dopo averne terminata la lettura, ho riletto quel post e quanto scritto dall’autore mi è sembrato una piccola rivoluzione, personale e faticosa, di quelle che ingaggi per affermare spazi di autonomia che oramai sono risicati qualsiasi cosa si faccia. Scelte etiche, per certi versi, che ammiro molto proprio in virtù del fatto che non nascono per essere vincenti, tutt’altro, hanno piuttosto a che fare con l’assumersi la responsabilità di portare a termine un’azione non per compiacere (in questo caso il mercato editoriale o il lettore ideale che compra e consuma) ma per stare nel mondo nella maniera in cui si ritiene opportuna.

E così ho letto questa storia intensa (il mio libro più sofferto, mi ha confessato l’autore) dipanata nelle sue 442 pagine, e ho pienamente compreso le ragioni di Marco Quarin riportate nel suo già di per sé interessante post (quanto ci sarebbe da discutere su ciò che ha scritto).

La suggestione del titolo mi ha catturata e mi sono lasciata andare alla narrazione che ha al centro la vita di Angelo Brantani, psicoterapeuta di fama, uomo che ha costruito una discreta fortuna “ascoltando” pazienti danarosi in una villa che porta il suo nome, uno che – guarda caso – lavora proprio con la “parola” fino ad esserne stanco.

Angelo Brantani potrebbe essere uomo soddisfatto del suo successo, della sua posizione sociale ed economica, ma con l’avanzare dell’età così non è: è un uomo profondamente solo, schiacciato da un senso di colpa antico e doloroso che ci verrà svelato a dosi omeopatiche, come è giusto che sia quando si scava nel passato, nell’anima, nella sofferenza che abbiamo stipato da qualche parte ignorandone l’esistenza, come se fosse di qualcun altro e attanaglia il passare dei giorni.

Accade sempre che da qualche parte ciò che abbiamo rimosso torni, come le onde del mare che con il loro moto perpetuo smuovono i fondali marini facendo riaffiorare oggetti, creature inanimante, talvolta corpi, ciascuno con una storia, un passato, un’appartenenza.

Accanto ad Angelo Brantani, due amici: Ermes ed Eleonora. Il primo un manager di successo che rappresenta un’epoca tutta italiana e l’applicazione industriale del principio di qualità totale. La seconda un’insegnante ormai alle prese con una malattia (quest’ultimo, personaggio femminile memorabile)

Tre destini profondamente intrecciati, tre personaggi rappresentati con rara raffinatezza lessicale, tre vite segnate da scelte talvolta sbagliate che si sono allontanati l’uno dall’altro senza mai separarsi completamente.

Nessuno può tirarsi fuori dalla propria storia. E non ci sono posti in cui i sensi di colpa possano nascondersi, né ce ne sono di adatti a espiarli.”

Neppure in riva a un lago, il posto dove Angelo Brantani sceglierà di andare a vivere l’ultimo scorcio della sua esistenza, lasciandosi alle spalle l’agiata vita condotta fino a quel momento, recuperando i suoi rimpianti, intrecciando l’esistenza con persone apparentemente molto lontane da lui e che per lui lavorano nella gestione del Carpe Diem, un’attività sul lago destinata alla pesca sportiva, dove le carpe “bollano”.

Una lingua curatissima, pagine scritte mirabilmente, una storia che ha aspetti che incontrano la nostra storia, quella di chiunque, sia pur se indossata in panni diversi.

Io l’ho sentita mia per via delle tante affinità con il protagonista, ma credo chiunque si troverà a incrociare questa storia non potrà non sentirne l’intima verità:

Spesso mi sono domandato se non stia in quest’ossessione l’ordine di tutto: cioè la tentazione di procurarsi una colpa vera per la quale il rimorso e la sofferenza siano giustificati. Tu sai qual è la colpa di cui parlo. La mia ascesa professionale e il mio successo sono nati e hanno poggiato su quella colpa vigliacca. Poi è venuto Ermes a disseppellire il passato e subito mi sono sentito dilaniato dalla colpa, dal rimorso che per anni avevo stordito con ambizioni sempre più elevate. Sono rare le persone capaci di perdonare chi le ha minacciate, spaventate, tradite. Sei una donna rara Eleonora, la tua bellezza non grida: sussurra. E una volta capita ti infonde nostalgia per qualcosa che si è perduto: una sorta di solare determinazione mista a riservatezza, in un’epoca in cui la riservatezza non è trionfo, ma fallimento e isolamento.”

Ecco, vi bastino queste poche righe per avere un’idea della prosa di Marco Quarin, che io immagino come quei vecchi artigiani di una volta, chiusi nella loro bottega fino a notte fonda, al lume di una candela, che scavano quel rivolo di legno alla ricerca dell’espressione perfetta della forma per rendere anche il più piccolo, il più insignificante particolare che, se perso, renderebbe l’opera un’altra cosa. L’accuratezza è scelta morale, rispetto verso sé stessi e il lettore.

Quanto alla storia, è una gran bella storia che attraversa l’Italia degli ultimi quarant’anni (se ho fatto bene i calcoli che non sono il mio forte) costellata di personaggi definiti e definitivi, anche quando sono secondari.

La lettura di questo romanzo richiede pazienza (come la pesca, che è attesa), è un dono (almeno io l’ho vissuto così) perché non siamo più abituati al dipanarsi del tempo nella sua lentezza e anche nella lettura è così: divoriamo, mastichiamo, digeriamo e passiamo oltre. Se cercate questo, “Olodus” (acronimo di Oltre l’ombra di un sogno) non fa per voi.

“Che mi vuoi suggerire?”

“Che le ombre lasciate da certi sogni sono indelebili.”

Il romanzo

Angelo Brantani, psicoterapeuta di successo, in gioventù ne ha commessa una grossa ai danni dell’amico, futuro manager della Qualità Totale, e della donna del cuore.
Il manoscritto di uno strano paziente gli cambia radicalmente vita, vende la clinica rifugio della ricca borghesia milanese e acquista il Carpe Diem, un lago per la pesca sportiva nell’entroterra veneziano.
Ma non si cambia davvero, ci si adatta. Proverà a rimediare al delitto giovanile cercando una forma diversa d’amore. Bisogna pur rischiare di essere felici, anche quando il tempo della felicità sembra scaduto.

L’autore

Marco Quarin, nato in Friuli nel 1951, vive a Mestre (Ve). Ha pubblicato i romanzi Paese di guadi (Nuovaprhomos, 2016), Sopra non appare alcun cielo (Robin, 2018) e Il bosco di Marx (Prospero, 2021). Rinuncerebbe ai suoi 6000 libri se servisse a sanare un’ingiustizia o a lenire anche solo una sofferenza umana

IL POST DI MARCO QUARIN

“Promozione sì.

Ma anche, spero, testimonianza di uno scrivente di romanzi.

(Non farò nomi, ma tutto è documentato e documentabile)

La storia inizia più di tre anni fa e si conclude il 16 febbraio di quest’anno.

Prima del 16.2.2023.

Il manoscritto è terminato nel 2020. Lo ha letto una sola persona, un amico (chiamiamolo P) dei cui consigli ho fatto tesoro. Pur esprimendo alcune riserve sulla struttura del romanzo, si è detto convinto che può interessare qualche editore per la qualità della scrittura.

Che fare? Non frequento ambienti letterari, non ho contatti con editori o editor, mi muovo in completa autonomia. So che la possibilità di far leggere il romanzo a un editore sono minime, quasi un azzardo. Rifletto, rileggo ciò che ho scritto e decido l’azzardo. Compilo una lista di editori (24) evitando quelli che frequento sui social, per evitare imbarazzi reciproci (spero di aver evitato anche coloro che fanno gli editor o i consulenti per l’editoria). Invio ai primi 12, consapevole che senza credenziali e la presentazione di un’agenzia letteraria la risposta che otterrò sarà un tombale silenzio. Dopo quattro mesi ricevo una manifestazione d’interesse. Mi si propone di tagliare i capitoli sull’Uomo della Qualità (circa 100 pagine su 400), di spargere un “po’ di pepe” sulle due scene di sesso (definite troppo caste) e di cambiare il finale. Ho lavorato un mese alle modifiche, più sedotto dal nome dell’editore che convinto dalle sue argomentazioni. Rileggendo ciò che era rimasto della mia stesura mi sono reso conto che ne risultava una vicenda “altra” da quella che avevo scritto. Io non avevo scritto un romanzo d’evasione, mentre quello modificato mi sembrava essere tale. Ho declinato ulteriori proposte di modifica, ho ringraziato per l’interesse e per il tempo che mi era stato dedicato.

Dopo la seconda spedizione sono stato contattato da altri due editori. Il primo proponeva di fare l’esatto contrario del precedente (salvare i capitoli sull’Uomo della Qualità e rinunciare a tutto il resto), il secondo di cancellare le descrizioni e qualche digressione per ridurre l’impaginato a circa 250-300 pagine. So bene che l’editoria è un’industria che produce e vende libri, con degli obiettivi di bilancio e di fatturato. Un’industria non sta sul mercato per fare beneficenza. Confesso tuttavia che quelle proposte così difformi tra loro mi hanno un po’ sconcertato e, ammetto, anche scoraggiato.

All’inizio di quest’anno mi restavano due possibilità: dimenticare il romanzo, cestinarlo, o continuare con le spedizioni e aspettare. Ma aspettare implica il rischio di arrivare fuori tempo massimo, alla mia età il futuro si accorcia velocemente. Mentre mi attardo sul da farsi mi arriva questa mail: “G.le signor Quarin, la sua opera ci piace molto e lei scrive decisamente bene. Non è facile investire di questi tempi su autori ancora non molto noti, ma quando ci si trova davanti a un romanzo scritto da un vero autore non si può rinunciare con leggerezza.” Non ho approfondito il contatto: nonostante gli elogi, ero convinto che l’editore alla fin fine avrebbe fatto un passo indietro: le vendite dei miei precedenti romanzi avrebbero reso molto meno appetibile la mia “opera”.

Dopo il 16.2.2023

Quel giorno Lorenzo Sartori pubblica sulla sua bacheca un efficacissimo post dal titolo “Le 4 vie della pubblicazione”, corredato dai pro e i contro per ciascuna via.

Scrive Sartori: “Il self publishing è diventato il rifugio di chi non ce l’ha fatta a farsi pubblicare da un editore vero (con tutti i se e i ma possibili, non è proprio il mio caso) o di chi non ci ha voluto provare per paura del fallimento (proprio no) o per la fretta (vero, l’età e i disturbi fisici che si vanno cronicizzando hanno contato eccome)”. La cosa per me più interessante era però questa: ci sono “self seri, che sanno come si edita professionalmente, come si impagina, che sanno come ci si promuove e ci si propone in modo efficace.”

Ho fatto due chiacchiere con uno di questi e mi sono convinto a passare all’autopubblicazione. Ho dovuto superare le mie stesse perplessità, nutrite dalle diffidenze, dai pregiudizi, dalle riserve nei confronti dei libri autopubblicati. Ho letto post nei quali sono dipinti come un’onta, una sorta di discarica – ha scritto qualcuno – nella quale, se sboccia un fiore, è l’eccezione che conferma la regola. Ho anche accettato il fatto che mi autoescludo dalle recensioni, anche dai semplici pareri sui social (un amico mi aveva avvertito che “si parla e si recensiscono solo i libri dell’editoria ufficiale”). Nessuno mi inviterà a fare una presentazione o un firmacopie in una libreria, per le quali sono indispensabili anche altri requisiti (contatti, amicizie, carattere, background, standing, età, e vi prego di non sorridere: quanti ultrasettantenni “presentatori” non famosi conoscete?)

Dal mio piccolo mondo appartato, penso che scrivere sia dialogare con il lettore, uno dieci cento o mille non fa differenza, sia un modo di riconoscersi collettività, oltre che individuo. Saranno i lettori pochi o tanti a decretare, senza filtri editoriali, l’insignificanza o meno di “Olodus”, acronimo di Oltre l’ombra di un sogno.

Sul romanzo dico solo due cose.

Non so se sia fuori dagli schemi letterari correnti, ma so che viola alcune regole che vengono consigliate agli aspiranti scrittori. Non nasconde niente al lettore, gli fa vedere tutto, dalle motivazioni alle azioni al paesaggio. Ma sfida il lettore a trovare l’unica cosa nascosta: una cosa che riguarda, chi più chi meno, ogni essere umano.

Inoltre racconta per la prima volta (che io sappia) in forma narrativa un esperimento industriale, detto della Qualità Totale di ispirazione giapponese, in voga fra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso.

Ringrazio chi ha avuto la curiosità di leggere fino in fondo. E ringrazio gli amici P. e Fabio di FdBooks con il quale ho lavorato nell’ultimo mese.”

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