Una madre, ogni madre

Si vede che non era destino, di Daniele Petruccioli (Terrarossa Edizioni), è uno strano romanzo, nel senso che a volte le pagine che leggi ti chiedono di staccare quello che pensi possano raccontare (perché sui social magari hai avuto degli input) da quello che raccontano realmente. Io, per motivi personali, questo romanzo non avrei voluto leggerlo.

È naturale che l’autore scriva con delle intenzioni e il lettore poi “possa avere il suo sguardo” (dall’indicazione della casa editrice rivolta al Lettore ideale, sempre presente nei romanzi editi da Terrarossa)

Si vede che non era destino narra di Maria, madre di Gesù, in una maniera del tutto inedita. Probabilmente qualcuno l’avrà già detto o scritto, ma a me ha fatto riecheggiare nella mente una canzone splendida di Fabrizio De André, l’Ave Maria, più nello specifico nella versione incantevole di Antonella Ruggiero: una manciata di magici minuti di una tale intensità che, almeno a me, fanno piangere sempre.

E te ne vai Maria, tra l’altra gente”: lacrime delicate, vive, lucenti perché l’attimo in cui si diventa madri si attraversa una sponda, si passa dall’altra parte, inesorabilmente, nel bene e nel male, ed è una cosa che conosco benissimo proprio perché Madre non sono diventata e so osservarne la bellezza e il mistero.

È una fiaba, la storia della Maria di Petruccioli: quella di una bambina che diventa donna e che ogni tanto “muore”:

Non so mai niente di quello che succede fuori, quando muoio dentro. Potrebbe succedere di tutto. Forse è per questo che sono incinta (sono incinta?)”.

Quattordici anni, sposata, non sa come si aspetti un bambino: quale madre lo sa? Quale madre sa cosa succede e succederà? La maternità è un divenire complesso.

Maria non muore ogni volta, è solo che arriva l’argento a scivolarle dentro: forse è il divino che è destinata ad accogliere, o forse è il miracolo della maternità che avvolge le donne in attesa:

Ero lì che guardavo crescere l’ulivo, e a un certo punto è arrivato l’argento. Si è sparso. Si è sparso piano. Non so se è venuto dalle foglie dell’albero. Non ho fatto in tempo a vederlo arrivare. Il cielo si era diviso in centomila pezzettini d’argento gelato e sfarfallante, l’orizzonte non esisteva più, si era fuso con il centro della terra e vomitava argento sulle colline e sopra i campi tutto intorno. Tutto era immobile. Come me. Era come se il mondo volesse salutarmi. Era tanto bello.”

Non è proprio di ogni madre viversi come “argento vivo”? Non è così che si dice di un bambino o una bambina irrequieti, che non sanno bene come comportarsi di fronte alle “regole”?

L’argento viene quando sono argentata dentro.” Dice Maria.

Poi la sua storia è quella che è: lei non è una madre qualsiasi, è la madre di Joshua, di Gesù, figlio di Dio, ribelle come lei non vorrebbe perché ne teme la sorte. È la moglie di un marito amorevole, Giuseppe, con la fuga in Egitto, la storia di Erode e le vicende così come le conosciamo, con due voci che a tratti di insinuano: quella di Elena e Maria Maddalena.

Soltanto la storia è vissuta da uno sguardo diverso da quello al quale siamo abituati: una fiaba laica e dolorosa nella quale non troviamo la solennità della Madonna così come potremmo pensarla, narrata con delicatezza e poesia, con la forza del mistero della fede sì, ma con un senso rovesciato, perché la Maria di questa vicenda è “fuori” da quel mistero pur essendone la protagonista in quanto predestinata. Lei lo osserva e lo descrive. Umana.

Sai che fra un’ora forse piangerai poi la tua mano nasconderà un sorriso: gioia e dolore hanno il confine incerto nella stagione che illumina il viso.” Scrive De André.

E quando per Maria sarà tempo di salire al monte, non vorrebbe sapere cosa vedrà, lassù in cima.

Non voglio salire la salita. Non voglio vedere morire nessuno, chiunque sia. Non voglio aver paura che sia mio. Lo è già. È già mio figlio. Sono, siete, tutti figli miei.”

Femmine un giorno e poi madri per sempre: tutto l’argento del mondo in un corpo solo, tutti i figli del mondo nella maternità di una donna soltanto.

Mia madre, a lei ho pensato, alla sua semplice, antica saggezza di madre di fronte alle sconfitte, alle cose non andate per il verso giusto, agli sbandamenti, ai tragitti tortuosi, ai misteri inspiegabili: si vede che non era destino è una cosa che lei avrebbe detto, si vede che non era destino ripete Maria.

Ho pensato, infine, alla speranza di tutte le madri che solcano i mari ogni giorno con uno o più figli aggrappati al vestito: la vela o la croce, nel mare delle possibilità.

Talvolta le parole che leggiamo nei libri possono essere un balsamo benefico, penetrano nelle pieghe delle ferite e le addolciscono, lavano via i grumi di sangue, levigano la pelle e la rendono trasparente a noi stessi, e questo va oltre le storie personali con cui ci approcciamo alla lettura: si allargano all’universale, così grande per essere abbracciato o trattenuto.

E ci lasciano un senso di buono e di armonia, nonostante.

Quand’è stata l’ultima volta che avete letto un romanzo che vi ha lasciato in questo stato di grazia, nonostante?

Io, che non avrei voluto leggere questo romanzo, con il mio argento vivo dentro, osservo, e sono felice di averlo fatto, con un doveroso grazie all’autore.

Il romanzo

La protagonista di questa storia prima è una bambina e poi una donna. Prima non riesce a comprendere l’enigma della sua gravidanza, poi la stranezza di suo figlio. Una bambina che per amore dei genitori rinuncia alle proprie visioni e una donna che per amore del suo uomo le ritrova. Questa bambina, questa donna, si chiama Maria.
Seguendo una prospettiva delicatamente laica e dando voce femminile alla sua scrittura, Daniele Petruccioli riesce ad accostarsi al mistero senza cadere nelle facili suggestioni dell’irrazionale per ripercorrere, in modo inedito, una delle vicende cardinali della cultura occidentale: dall’annunciazione alla crocifissione.

Lettore ideale: chi ha fede ma non gli basta mai, chi pur non avendola sente ogni cosa avvolta nel mistero; chi crede che uno sguardo possa cambiare il mondo.

L’autore

Daniele Petruccioli è nato a Roma e fa il traduttore di opere letterarie. Ha pubblicato articoli e saggi sulla traduzione, tra cui Le pagine nere (La Lepre 2017), e il romanzo La casa delle madri (TerraRossa Edizioni 2020, selezionato nella dozzina del Premio Strega); nel 2022 è uscito per Tetra il racconto Sotto la città.

Qui le recensioni al romanzo

https://www.terrarossaedizioni.it/negozio/si-vede-che-non-era-destino/

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