Io sono Hotel Garibaldi

L’Hotel Garibaldi esiste e sta a Napoli (ma credo anche in altre città) ed è anche il protagonista del romanzo di Marco Proietti Mancini (Edito Ensamble).

In realtà non è l’Hotel in quanto tale a essere raccontato in questa storia, ma la storia di un uomo che in questo Hotel nasce da una cameriera, orfano di padre, e qui cresce, diventa adulto, poi vecchio.

Quando nacqui mia madre mi mise nome Otello“.

Questo l’incipit del libro: il nome è la nostra identità, ma qui il nome definisce un destino, una scelta. Siamo a Napoli e il nome cambia subito in Hotello “un nome strano da pronunciare“, fino a che Otello non diventa per tutti Hotel, perfino per sua madre.

Leggendo il romanzo e la storia di Hotel che conosce Napoli dalla terrazza dell’albergo al cui interno si dipana la sua intera esistenza, è venuto naturale accostarlo al personaggio di Baricco, quel Novecento che non vuole abbandonare la nave sulla quale è nato ed è diventato un pianista leggendario, quel piccolo capolavoro che costituisce un’opera sceneggiata al cinema con la regia di Tornatore e portata anche a teatro.

Ho scoperto però che l’accostamento non era peregrino: l’autore anzi ha voluto dichiaratamente “sfidarsi” nel creare un personaggio che assomigliasse a Novecento, e l’analogia non disturba mai, affiora come pensiero, ma Hotel ha una fisionomia e una storia del tutto particolari e originali che prende piede (e ha preso me, moltissimo) fin dalle prime righe.

Si sente dire spesso che la letteratura dev’essere al servizio della storia, non è un’assioma (altrimenti non esisterebbe Annie Ernaux, Premio Nobel per la letteratura, per dire) ma è pur vero che nel mare magnum dei libri che si pubblicano troppo spesso l’ego degli autori è straripante, sovrabbondante, al limite della presunzione, e va oltre il rispetto che si deve al lettore.

Marco Proietti Mancini ci regala una storia onesta, bella, pulita, che emoziona dalla prima all’ultima pagina, che si legge con grande partecipazione, che ci fa brillare i pensieri e ci fa assumere uno sguardo curioso e innamorato di Hotel; che ci fa sperare e lo vorrebbe spingere fuori dal grande ingresso dell’albergo.

Ma poi perché? Siamo davvero convinti di aver bisogno di ciò “che sta fuori”? O piuttosto, talvolta, possiamo cullare la nostra solitudine disincantata osservando il mondo da una prospettiva diversa?

La grande leggerezza con cui l’autore racconta le vicende di Hotel e dell’Hotel è segno di quel disincanto: il protagonista conosce e perde l’amore, impara a leggere e viaggiare attraverso i libri grazie a un grande amico, Angelo, che fa il manutentore e gli insegna tutti i segreti della grande struttura dalla quale si vedono i tetti di Napoli, il Vesuvio, fino al mare, che è immenso, che non si può conoscere. L’Hotel è il mondo, ha tubature e impianti come gli esseri umani hanno organi.

Macrocosmo e microcosmo:

Quanto c’era da vedere, da conoscere, oltre le migliaia di pagine di libri che leggevo? Pochi minuti appena su una terrazza e tante cose avevano preso forma, erano diventate realtà da vedere. Napoli, i suoi palazzi, le dimensioni, le strade che scendevano al mare, il mare, il cielo. Il Vesuvio.”

Hotel, l’uomo che non ha conosciuto i giocattoli o cosa si possa provare a passeggiare per le strade con altri ragazzi, o cosa voglia dire correre dietro a un pallone, non sente la mancanza di ciò che non ha vissuto, semplicemente perché non la conosce.

Non ero felice. Non ero infelice. Anche la felicità e l’infelicità per essere confrontate le devi conoscere. Il coraggio, la paura. La fede in Dio di alcuni, la convinzione di altri che non esistesse nessun Dio. Nascere e crescere in un mondo piccolo, chiuso, ti permette di vivere senza altri bisogni che quelli delle abitudini quotidiane, ti permette di sopravvivere senza bisogno di emozioni, di passioni forti e brucianti.

Io, come dico spesso, non sono una blogger: sono semplicemente una che vive gran parte del suo tempo in una casa accanto a un bosco, un posto “lontano”. Dunque non potevo non amare un personaggio come Hotel.

Lo scrittore Maurizio de Giovanni scrive nella Postfazione: “Quello che chiediamo a una storia. Di coinvolgerci, certo. Di voler vedere in fretta come andrà a finire, ma anche di rallentare perché non vorremmo finisse mai (….) di sentirla nostra e comoda e accogliente, come un paio di pantofole care e un po’ sformate alle quali non vogliamo rinunciare.”

Quelle pantofole sono ancora accanto al mio letto.

Il romanzo

A Napoli il Garibaldi è un hotel di lusso. Ai piani nobili pernottano i viaggiatori benestanti e nell’ultimo piano i più ricchi vivono per anni in appartamenti affacciati sul golfo, con vista sul Vesuvio e su Capri. Ma è nel sottotetto che si trova il vero cuore pulsante dell’hotel Garibaldi; lì vive il personale di servizio, tutti quelli che non hanno una famiglia, una casa dove tornare quando terminano il turno di lavoro. Una parte di Napoli che vive sopra la città. È in quel sottotetto che nasce Otello, figlio di una delle cameriere e di chissà quale ospite occasionale. Il nome gliel’ha dato la madre, affascinata dalla figura del Moro shakespeariano. Otello, in quel bellissimo palazzo pieno di marmi, manterrà tra sé e la Napoli di fuori l’invalicabile distanza delle sue mura. Lì dentro, tra quei corridoi lunghi che a correrci sembra di non arrivare mai alla fine, un mondo di spazi segreti che solo lui conosce, sarà destinato a un’esistenza nascosta e straordinaria, mentre il Novecento scorre con le sue vicende storiche. Il Garibaldi sarà per Otello tutta la vita, nome e casa, rifugio dai bombardamenti, scenario di panorami e di suoni che arrivano dalla città, teatro di amicizie e di amori, terrazza romantica sul Tirreno, sarà tutto il suo mondo in un mondo solo suo.

In un romanzo in cui le atmosfere si coagulano in fotogrammi preziosi degni dell’arte cinematografica di Scola o dei fratelli Taviani, Marco Proietti Mancini racconta con garbo e grazia un pezzo di storia italiana attraverso la formazione straordinaria di un ragazzino napoletano.

L’autore

Marco Proietti Mancini (1961) è nato e vive a Roma. Ha pubblicato i romanzi Parlando dei miei giorni (Augh!, 2022), La luce degli istanti felici (Edizioni della Sera, 2021), La terapia del dolore (Historica, 2016), Da parte di Padre (Edizioni della Sera, 2016), Il coraggio delle madri (Edizioni della Sera, 2015), Oltre gli occhi (Giubilei & Regnani, 2014), Gli anni belli (Edizioni della Sera, 2013) e le raccolte di racconti Non serve nascondersi (Miraggi, 2019) e Roma per sempre (Edizioni della Sera, 2012). Suoi racconti sono presenti in molte antologie, tra cui Nessuna Più – Quaranta scrittori contro il femminicidio (Elliot, 2013). È giurato nei premi “Città di Subiaco” e “Città di Latina”.






			

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