«Sono arrivato tardi. Lo so.»
Lei non si muove, forse è caduta in un sonno profondo o forse fa solo finta.
«E’ una giornata così bella. Tutto il giorno il sole non ha fatto altro che farmi sentire la voglia di tornare.»
Lei leggeva un libro. No. Lei ha l’abitudine di annotare i pensieri su un taccuino. Stava scrivendo quando si è addormenta. Ha la penna ancora in mano.
«In effetti non so perché ho perso tanto tempo. A ben vedere non ho combinato nulla di buono, non avevo impegni urgenti.»
Lei si era distesa guardando fuori dalla finestra. Il soffio del vento nell’erba l’aveva cullata fino a farla assopire nel tepore del sole pomeridiano.
«Ho perfino bighellonato un po’, io, che non lo faccio mai. Avevo voglia di levarmi le scarpe e camminare scalzo, così, tanto per godermi il movimento del corpo. Volevo sentirmi leggero.»
Il silenzio della casa era stato complice della sonnolenza e lei si era addormentata senza pensieri.
« Avrei voluto liberarmi anche dei vestiti, magari camminare nudo e sentire il corpo caldo di sole.»
Lei aveva ingannato il tempo leggendo, ma si era annoiata, così, senza neanche accorgersene, si era assopita.
«Ovviamente non l’ho fatto. Ma avrei voluto sai? Quei pensieri che ti colpiscono all’improvviso, senza un motivo, solo perché ne hai voglia.»
Lei aveva atteso, poi, delusa, si era messa a scrivere e i pensieri l’avevano talmente invasa da rovesciarle addosso un sonno pesante.
«C’era così tanta gente, è una giornata talmente bella che tutti sembravano essersi riversati per strada, come formiche impazzite.»
Lei aveva voglia di sognare e quindi si era rifugiata nell’unico luogo possibile che le concedesse quel sogno.
«Eppure io mi sono sentito protetto in quel cono di luce, è stata una sensazione strana, ero lontano da tutta quella baldoria euforica. Così ho perso la cognizione del tempo. Per questo ho fatto tardi. In realtà niente mi ha impedito di arrivare in tempo.»
Lei voleva sfuggire a quell’incubo. Gli incubi non abitano le giornate di sole.
«Non so come sia successo, né quando. Io non me ne sono accorto. Però oggi a un certo punto ho sentito le scarpe strette. È cominciata così. Sentivo di voler tornare ma non sono tornato.»
Lei non aveva avuto neanche voglia di rivestirsi. Quando il suo amante se n’era andato lei non l’aveva rimpianto. Aveva fatto l’amore ed era stanca. Quella stanchezza molle che prende il corpo dopo l’amore. Aveva voltato le spalle e aveva sparso i capelli sul cuscino, lo sguardo alla parete vuota e il calore del sole sui fianchi nudi. Poi, piano piano, si era addormentata.
Nessuno badava al libro o taccuino che fosse. Qualche ora dopo, mentre il sole tramontava e dalla finestra entrava il fresco di una sera che prometteva stelle e cicale, cadde con un tonfo secco sul pavimento. E lì l’oggetto rimase, senza che nessuno se ne curasse.
Entrambi pensarono “non m’importa, è suo, se ci tiene, lo rimetterà al suo posto”.
Il quadro è Escursione nella filosofia di E. Hooper (1959)
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