Un quadro, una storia
Fai il letto. Disfa il letto, avanti così tutti i giorni. Mi chiedo perché si debba rifare un letto al mattino (e così tutte le mattine) se poi lo dobbiamo disfare alla sera (e così tutte le sere).
Fai il letto. Disfa il letto. Ricomponiamo l’ordine delle cose, rassettiamo le bugie, accatastiamo i sentimenti di troppo , formiamo piramidi lineari di senso.
Una volta però un artista mi ha fregato.
“Posso dipingere la vostra camera da letto?” Mi chiese.
Non so bene cosa avesse visto di curioso in quella stanza. Comunque era un amico e acconsentii.
Con Dennis ci trasferimmo per qualche giorno nella camera degli ospiti.
Gli artisti sono strani. Per descrivere la realtà usano gli artifici. Adesso posso dirlo: quella camera da letto odorava di gatto morto di chiuso e di scarpe sparse. I vestiti abbandonati sulla sponda del letto ti costringevano a ricerche nevrotiche, spesso vane. Il comò era quello di una donna invecchiata dove niente è più al suo posto tanto che differenza fa.
E il letto. Il letto era perennemente sfatto. Un groviglio di notti senza il respiro del sonno. Il campo di battaglie aspre e concluse per sfinimento.
Queste sono le camere da letto dei matrimoni finiti. L’immagine di un fallimento. Si diventa cattivi in barba a tutte le buone promesse.
Ma lui, l’artista, cosa ti va a dipingere?
Una camera linda, un ordine asettico, preciso, soffocante. Una perfetta geometria di linee e di luce. Niente oggetti. Un uomo riverso sul letto e una donna al suo fianco. Composti e gelidi.
Magari aveva ragione lui, non lo so. È l’interpretazione che frega. Tu pensi di aver capito e invece arriva quello che ne sa più di te, ti spiega e ti fa sentire un’idiota (che poi che ne sa lui? Tu c’eri in quella stanza, lui no.)
Invece questa è la vita adesso. Letto rifatto e valige in vista. Non c’è bisogno di riporle. Posso prenderle in qualsiasi momento e uscire o non prenderle mai e lasciarle dove stanno. E per non rifare il letto non lo disfo. Ci dormo sopra.
Via di fuga e letto rifatto.
Qualsiasi camera è la mia senza che mi appartenga.
E stavolta il quadro me lo sono fatto da sola. Così non ci sono fregature.
E nemmeno metafore.
Il quadro è E. Hopper, Camera di albergo (1931)
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