Ho finito ora di leggere ” Le Mani in Tasca” di Daniela Grandinetti edito da Augh! Editore. Invece della solita foto sul tavolinetto, questa volta ne ho scattate due. La prima è sui tetti, perché entrambi i giovani protagonisti del romanzo sono pronti a spiccare il volo, anzi lo meritano per il tratto di strada romantico, brillante e al contempo malinconico che percorrono insieme. Nell’altra il libro è dietro le sbarre perché Oriana, la protagonista femminile, dietro i cancelli di una prigione c’è stata davvero per 23 anni a scontare una condanna per banda armata.
Il romanzo ci riporta agli anni 70 del secolo scorso, quelli duri e assassini. Parlare di quel periodo non è facile, ci vuole coraggio, i rischi nell’affrontare il tema degli “anni di piombo” sono tanti. Alcuni autori, pur con encomiabile sforzo di terzietà, e anzi proprio per questo, finiscono col mettere in fila asetticamente gli avvenimenti riducendoli a semplice elenco, una sorta di lista del terrore. Altri, schierandosi apertamente, scadono in commenti didascalici e giudizi moralistici, prigionieri della retorica dell’ovvietà, ovvero quella della vittoria del bene sul male. È allora inevitabile la banalizzazione di un periodo che fu invece complesso, di grande fermento culturale e ideologico, un impasto di razionalizzazioni estreme come estreme furono le conseguenze, e di profonde e tormentate riflessioni. Tutto si merita quel periodo, anche d’essere legittimamente definito infame, tranne che d’essere banalizzato. Ma Daniela Grandinetti è una scrittrice vera e non ci casca. Come i bravi attori interpretano i personaggi rubando loro l’anima, così Daniela, capitolo dopo capitolo, alternativamente prende le sembianze di Oriana e Dario. Non giudica, non emette sentenze morali, entra nei corpi e nelle anime dei protagonisti, nelle loro passioni, nei loro dolori. È un’operazione che le riesce perfettamente anche grazie alla scelta senz’altro felice della scrittura in prima persona. Una modalità che, a parer mio, favorisce non solo il processo di identificazione del lettore con il personaggio, ma produce quell’amalgama tra chi scrive e il soggetto di cui si scrive, che fornisce di credibilità e verosimiglianza ogni passaggio, ogni sussulto dell’anima.
Nel romanzo non è descritta neppure un’azione terroristica cui Oriana certamente ha preso parte. L’ autrice si sofferma sugli stati d’animo dei protagonisti, racconta delle loro vite prima così vicine e poi drasticamente lontane e profondamente diverse. Scandaglia nel profondo, indaga il percorso politico e intellettuale, si sofferma sulle lacerazioni conseguenti. Così Oriana sarà assolutamente consapevole allorquando sceglierà la clandestinità per entrare a far parte organicamente di un cellula terroristica, come lo sarà delle colpe che non nasconde né minimizza. Nella lunga detenzione non chiede né perdono, né compassione. Riflette, scava dentro di sé, si sforza di sopravvivere giorno per giorno. Neppure sogna la libertà.
“Là dentro non esiste il passato ma soltanto la colpa commessa al di là di ogni ragionevole giudizio, non esiste futuro né redenzione. Le mani in tasca e il tempo per scontare la condanna. La pelle che si squama e lo sporco in ogni angolo depositato dalle colpe che hanno preceduto quella di ciascun condannato“.
Dario è un ragazzo timido perduto in un mondo tutto suo. Amante del teatro, innamorato della sfuggente e poi perduta Oriana, sensibile e tormentato.
“Per tanto tempo avevo combattuto un’accozzaglia di sentimenti accatastati alla rinfusa. Il dolore per sua natura è un’entità invisibile che porta guerra, una guerra tattica che necessita di tempo prima che si possa conoscere il nemico, anticipare le sue mosse e magari sconfiggerlo. Il dolore è un guerriero addestrato e quasi sempre ci coglie impreparati.“
Con una scrittura fluida, avvincente, suggestiva, Daniela Grandinetti ci porta per mano accompagnandoci, tra le nebbie di quegli anni oscuri, prima sulle tavole di un palcoscenico e poi nella nudità di una cella di Rebibbia.
Davvero ottimo
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