No, di questo libro non voglio parlare, non voglio scriverne. E nemmeno fare la mia intervista in tre domande all’autore su Pangea.
È un romanzo storico, uscito nel 2019: Manzoni, che quel genere l’ha inventato, diceva il vero come oggetto, l’interessante come mezzo, l’utile come scopo…ma non è soltanto quello, ed io non voglio parlarne, no, non voglio.
È stata una lettura lenta, cosa per me insolita: quando sentivo che l’attenzione non era alta abbastanza per godermi le pagine, smettevo perché durasse, così da non poter perdere neanche una virgola o un passaggio.
Sembra sempre che il romanzo più bello sia l’ultimo che leggiamo (quando lo apprezziamo), ma qui non si tratta di questo, qui si tratta invece del limite delle parole a descrivere cosa ha smosso la lettura di Pane e Ferro, libro letto con occhiali e lapis, sottolineando righe su righe, sprofondandoci dentro. Più leggi e più vuoi leggerne.
Cosa ne sapevo io del nordest? Niente, quello che ci viene in mente quando diciamo nordest fuori da qualsiasi contesto: la parte ricca e produttiva d’Italia.
Sbagliato, non avete letto Pane e Ferro. E io non voglio parlarne.
Non voglio darvi il privilegio (o la noia) di leggervi una recensioncina buona come una garbata lezione, con auto compiacenza “come sono stata brava a parlarvi di questo libro”: sono anni che lo faccio, ma in questo caso no, non voglio. L’ho detto e lo ripeto.
Delle cose che amiamo profondamente si è un po’ gelosi, perché arriva quella cosa (in questo caso un libro) che ti dice: è cosa tua, è un regalo che è arrivato fino a te, perché mai dovresti sbandierare ai quattro venti quanto è bello? Quanto è utile? Quanto è interessante? Lo meritano davvero, di là?
Fate anche voi un po’ lo sforzo di guardare oltre le classifiche o le operazioni di marketing editoriale, arrivateci voi a un romanzo come questo. Me lo sono conquistato tutto e non lo mollo così, non lo liquido in due parole scritte per benino.
Piuttosto scaglio una pietra contro il vostro starvene seduti, quieti, a guardare il nordest al TG o nelle riviste. Anzi, vi scaglio contro direttamente il libro.
L’autore mi disse quando ho avuto il romanzo: buona camminata a Paesenovo, che poi sta tra il Veneto e il Friuli, nel nordest appunto, una cosa che non sapevo e ora so.
Per una che cammina comunque era un invito allettante. Ecco, ho camminato per Paesenovo e il novecento lì da loro, io terrona, da qui.
E non avete idea della bellezza che ho visto.
Piuttosto: come mai a questo romanzo nessuno ha dato un riconoscimento, un premio, un Nobel, un oscar, qualsiasi cosa urli al mondo intero che qualcuno, Massimiliano Santarossa, ha scritto PANE E FERRO?
Alla fine resta soltanto una domanda. Perché?
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