Oggi i nostri appartamenti profumano di olezzi di deodoranti e vaporizzatori: sono vietati gli odori sgradevoli, come ad esempio quello del fritto.
Ricordo invece quando la domenica spesso rientravamo in casa ed era proprio l’odore del fritto che ci guidava in cucina a rubare le polpette o le patate: era giornata di pasta al forno e pollo, mia madre ci scacciava con “finitela che poi non mi bastano”, noi figli e nipoti allungavamo le mani come potevamo per agguantarne più possibile, calde e fumanti, patate o polpette che fossero.
Inizio da qui: dalle case com’erano e come sono.
Dai detersivi che oggi liquidano gli odori.
Quando ho iniziato a leggere Il nostro meglio da lettrice dei romanzi precedenti di Alessio Forgione avevo aspettative alte, è un autore che ho amato molto. Eppure ho fatto fatica: le prime pagine non mi “prendevano”, la storia del piccolo Amoresano a Bagnoli, il rapporto con la nonna e le vicende quotidiane di una famiglia come tante, una nonna che gli dice sempre che dopo pranzo bisogna mettersi sul letto per riposare un po’ gli occhi, confesso,è stato difficile entrarci.
Così l’ho lasciato per un po’, lì sul comodino, e ho letto un altro romanzo, sconclusionato, con una bella scrittura, rapida e ardita fino ai limiti dello spericolato.
Amoresano però era lì a guardarmi: io non penso mai che un libro non mi piaccia se ho avuto un inizio difficile, penso che deve arrivare il momento.
Infatti, quando è arrivato, beh, avevo torto io e le 260 pagine del romanzo le ho lette in cinque giorni.
Un libro dal quale lasciarsi portare, come ascoltare il gorgoglio di un ruscello montano senza fare altro una qualsiasi domenica di luglio quando vi siete lasciati l’afa alle spalle, una storia di ritmi equilibrati nella quale il respiro si adatta con una naturalezza sorprendente al respiro della narrazione, piano, in silenzio, lasciando che le immagini della casa, dei luoghi, ci riempiano gli occhi, accogliendo nella nostra testa i pensieri, le parole eleganti e piccole del protagonista, uno che crescendo mal si adatta alla vita che cambia.
Bisogna essere un po’ il fanciullino di Pascoli, ho pensato leggendo, o avere la poesia delle piccole cose, lo stupore con cui si guarda ai legami che sono la cosa assoluta, la vita prima di ogni altra cosa, e poi la morte quando ci lascia un abbraccio.
È stato qui, soprattutto, che ho anche pianto: ho vissuto quell’abbraccio dipinto come un quadro in quello stesso modo, con quella forza, quella disperazione, quella speranza, quel groviglio di lacrime e braccia.
È un romanzo molto bello, l’ultimo di Alessio Forgione, questa è la semplice verità da dire.
Ho letto un’intervista all’autore nella quale raccontava la difficoltà di trovare un titolo, quello convincente e definitivo, quando è arrivato, come tutti i lampi che ti colpiscono tra capo e collo e illuminano per un secondo il buio delle cose e delle parole, ha capito che non poteva essere altro che quello: il nostro meglio (la trovate qui https://www.illibraio.it/news/dautore/alessio-forgione-il-nostro-meglio-1407728/)
La cucina di mia madre, le polpette e le patate, il giorno in cui è morta mentre noi ridevamo tutti insieme, ho vissuto questo romanzo, più che letto, ritrovando anche il mio meglio: se crescere è fatto naturale, salvare il meglio di ciò che ci accompagna in quel percorso è invece un fatto mentale, non si tratta di ricordi, ma molto di più: di consapevolezze che una volta scavato il solco dentro, non ci abbandoneranno mai, e abbasso i detersivi che rendono asettiche le nostre case e cancellano odori e umori indispensabili.
“Nonnì….
“Dimmi Chiccù…..
“Me la racconti quella storia….
“Mo’ riposa gli occhi Chiccù, dormi…..
Alessio Forgione, Il nostro meglio, La Nave di Teseo

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