In tanti anni di insegnamento in istituti professionali ho sempre avuto difficoltà a far digerire le poesie degli stilnovisti e affini, è quanto di più lontano dalla sensibilità della maggior parte dei ragazzi che frequentano quella scuola. Ma mi ostino, così ogni volta mi tocca inventare espedienti, buttare sassi e far loro compiere un percorso a ritroso tipo Pollicino.
Qualche giorno fa, ad esempio, per introdurli alla lettura di “Tanto gentile e tanto onesta pare” (io comincio sempre a lavorare su periodi e correnti letterarie partendo dal lavoro sul testo) ho chiesto quale fosse il loro ideale di donna. Ho scritto al centro della lavagna la parola “donna” e li ho invitati a scrivere le doti che vorrebbero avesse. La parola più ricorrente è stata “amica”. Poi affidabile, comprensiva, spiritosa, ma qualcuno anche stronza e arrogante. Solo pochi hanno messo fedele e uno solo onesta. Naturalmente questa mi ha dato il la per agganciarmi alla donna del sonetto dantesco e al concetto di amore ideale, spesso astruso per loro.
Oggi avrei dovuto proseguire con la seconda lezione e apro il libro alla pagina dove si trova Guinizelli e “Io voglio del ver la mia donna laudare, ed asembrarli la rosa e lo giglio”. Ma si è verificata una strana coincidenza che provo a riassumere, nonostante contenga qualche elemento scabroso che forse necessiterebbe di qualche approfondimento.
Mentre dopo l’intervallo prendono posto, sento parlare qua e là di “quella”: ma è sempre quella, mi fai vedere quella, io quella la prenderei a schiaffi e così via.
Richiamo all’ordine per iniziare la lezione, ma loro continuano a parlottare quando parte la parola “troia”. La rosa e il giglio impallidiscono e io intimo “adesso basta”. Al primo banco oggi c’è Francesco, uno che parla sempre più del dovuto e ride su tutto, ha foga di spiegarmi perché sono così agitati e vuole il mio parere su una faccenda. Lo ascolto.
Non l’avessi mai fatto. È stato come un rompere un argine e lasciare che arrivasse la piena a sommergerci. Intanto “quella” è una che si è fatta un selfie con un insegnante che pare abbia già delle denunce però intanto lei con “quello” ci è andata in una non ben identificata casa. Poi, sempre “quella” ha comunque una pessima reputazione.
Da qui al resto il passo è breve. Mi raccontano di quattordicenni, quindicenni, sedicenni che postano foto nei gruppi su whatsapp esibendosi seminude, nude e in pose maliziose. Di fidanzatini arrabbiati, mollati o traditi che per vendicarsi rendono pubbliche foto private.
Cerco di arginare la piena, arraffo cose come la privacy, i reati che proteggono la persona. Per loro non esiste, d’altro canto se hai tutta questa foga di darti in pasto mica dopo puoi appellarti alla privacy, il rischio del gioco lo conosci in partenza. Queste adolescenti secondo loro postano per loro libera volontà, ergo tutti sono autorizzati a condividere.
Cerco di sproloquiare a proposito di effetti dannosi e usi impropri dei social network, ma intanto a riprova della mia perplessità mi vengono esibite le prove, ovvero sempre Francesco mi mette sotto il naso un cellulare con una collezione di tette, che pare sia la gara più ambita. Qualcuna mostra anche delle scritte. Mi dice “secondo lei cos’è una che mette una foto come questa con questa scritta?”. Mi astengo dal riportare la suddetta scritta.
Stop. Fermi tutti. Qui non stiamo parlando di adulti che sono libero di fare o meno cose del genere. Qui parliamo di adolescenti giovani e giovanissime. Non posso non ammettere che alcune foto sono raccapriccianti.
Ma i genitori? Chiedo. Mi sembra incredibile che con foto che circolano così diffusamente i genitori non sappiano niente.
Qualcuno dice “certe mamme sono peggio delle figlie, basta vedere le foto su fb”.
Andiamo bene! Io oggi dovevo parlare di “null’ om pò mal pensar fin che la vede” e guarda in che ginepraio mi sono cacciata. Anziché fare lezione io a loro la stanno facendo loro a me. Motivo per cui mi convinco che DEVO assolutamente spiegarglielo Guinizelli, che ne hanno bisogno, anche se faranno i meccanici chissenefrega.
Allora fine dell’ora ero frustrata. Non sono una bacchettona, so che queste cose esistono. Ma un conto è saperle, un conto è vederle, spiattellate con tanta violenza di immagini come se fossero lì a dirmi “continuate a fare finta di niente, voi e i vostri poeti”. Confesso: mi sono sentita impotente.
Quale deserto sahariano devono avere intorno queste adolescenti che svendono ciò che hanno di più sacro (il corpo, l’età, se stessi, la propria sessualità) solo per un gusto così brutale di esibirsi?
Quanta ipocrisia c’è nel non vedere queste cose e continuare a parlare di FAMIGLIA come il simulacro senza il quale tutto crolla. Qui ci sono già le macerie.
Tutti hanno alle spalle una FAMIGLIA, magari proprio una di quelle tradizionali di cui tanto si parla e che tutti difendono con un padre, una madre, dei fratelli, delle sorelle. Ma cosa accade quando ciascuno si rinchiude nella propria stanza con la propria tv, il proprio pc, il proprio smartphone (che è un must, obbligo averlo, mentre a noi insegnanti ci asfissiamo con il tetto di spesa sui libri!)
Qual è il vuoto, il grado di abbandono a se stessi, l’incapacità di vivere il conflitto in modo sano (tutti siamo cresciuti per conflitti) in nome di un quieto vivere che non parla e non si guarda in faccia e tutti alla ricerca del dio benessere, l’unico che sovrintende tutto?
Mi fermo, perché sarebbe facile oggi lasciarsi prendere la mano dalla retorica e dal moralismo.
Di fronte a tutte quelle tette che hanno invaso l’aula, io come glielo spiego che medesmo Amor per lei rafina meglio? Vorrei chiamare la Mastrocola a farlo.
Esco arrabbiata, con tutti. Con noi che facciamo finta, che non affrontiamo queste che secondo me sono emergenze.
Vorrei solo avere davanti uno di questi genitori (che magari fa parte di quella schiera che ogni tanto si presenta a scuola per difendere i presunti diritti del suo pargolo)
Oggi potrei pestarlo a sangue.
Rispondi