Su La Malasorte

Io stavo qui a rimuginare e mi sono detta: non pensare, scrivi.

Cosma non era in assoluto la protagonista del romanzo La malasorte, eppure, suo malgrado, lo è diventata. Il fantasma della ragazza con la gonna nera che corre per i vicoli di un paese ormai abbandonato è entrato nel cuore dei lettori molto più che le stesse protagoniste, Cettina e Tilde. Questo perché il suddetto fantasma ha posseduto me per prima e dunque in quanto figlia della mia immaginazione è sì prediletta. E traspare.

Un’amica in questi giorni mi ha detto: mi sono chiesta “ma perché questo richiamo al Verismo anche nel titolo, perchè questa immagine del sud, della Calabria, ancora vinta”?

La malasorte non è una storia di vinti, è una storia di violenze perdute e per me sta scritta nei paesi abbandonati, spopolati, senza più linfa.

E’ la storia di una fuga e di un ritorno (non il mio), di una resa dei conti con i fantasmi che aleggiano tra le pietre di muri diroccati, lasciati andare all’oblio.

Per chi lo ha letto la chiave è Tilde: è lei che mostra le bellezze di un luogo segreto a una Cettina stupita, lei – Tilde – che in una baracca sparita in quel luogo è stata partorita perché non si sapesse, figlia senza padre.

E Cettina, che pure lì è nata e cresciuta, di quel luogo non ha alcuna cognizione, di cosa si celi davvero dietro i vicoli e le strade, oltre i confini del visibile agli occhi, non sa nulla.

Il romanzo finisce una notte, quando le due donne si addormentano e anche Cosma, il fantasma che porta tempesta e malasorte, finalmente, può trovare la sua pace e, forse, smettere di correre.

Il sud, la Calabria ha bisogno di sonno. E di risveglio.

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