Letteratura e vita

imagesCi sono dei rapporti che si codificano nel tempo in maniera strana e spesso errata e che è difficile correggere se non sottraendosi.

Questo lo spiega molto bene un racconto di Edgar Allan Poe, maestro dell’arte del racconto breve. In un uno di essi, Il ritratto ovale, c’è un narratore del tutto estraneo alla storia che in una notte di bufera durante un viaggio si ferma in un castello disabitato. Si impossessa di una camera per riposare qualche ora e trova un libretto che racconta tutti i quadri appesi alle pareti. Uno tra questi lo inquieta profondamente.

Scopre nel libretto che quel ritratto ovale di una giovane donna che sembra viva, è il ritratto della moglie del pittore. La donna aveva accettato per amore dell’uomo che era suo marito, ma questi la costringe a pose lunghe ed estenuanti, ricercando la perfezione e la vividezza dell’immagine. Nella febbre di questa ricerca non si accorge che la donna diventa sempre più gracile e stanca, sempre più pallida ed esangue, come se la vita la stesse abbandonando. Tanto più lui cresce nell’esaltazione del risultato tanto lei più si indebolisce nell’immobilismo. Fino a che, all’ultima pennellata, l’uomo pienamente soddisfatto del suo lavoro, alza lo sguardo su sua moglie e si rende conto che lei è lì, morta, mentre nel quadro è viva.

La donna per amore – o indolenza, o incapacità, questo non è dato saperlo – non si è sottratta al suo destino al costo della sua stessa vita.

Un dono tanto alto quanto inutile.

Its only a paper moon

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Oggi è il compleanno di Hakiro Murakami, uno dei miei scrittori  preferiti, come non fargli gli auguri? L’ultimo dei suoi romanzi l’ho letto in 5 giorni, quindi sarebbe meglio dire divorato, viste le sue quasi mille pagine. E’ una sensazione molto strana lasciarsi prendere da un libro così lento, minuzioso, estenuante. Eppure.

 
La scrittura di Murakami e un’esperienza che ha a che fare con la magia.  Murakami ha questo immenso potere, non é paragonabile a nessun altro, é uno di quegli autori che o si ama o si odia incondizionatamente. E io appartengo alla prima categoria. Dvi faticare per leggerlo, per entrare in tutti quei mondi che non sai più dove finisce la realtà e comincia la fantasia, o se stia raccontando  un sogno o un incubo, o se sia storia o fantascienza, se sia metafora di una cosa o di un’altra.
 
Devi muoverti su piani e registri continuamente diversi, ma finito un capitolo  scivoli in un gorgo di parole che ti trascinano avanti, a spirale, capitolo dopo capitolo. E ti senti parte di un flusso, su un lato oscuro e non sai più se sei sulla luna o sulla terra, se sia mistero o verità, se sia realtà o immaginazione.
 
Ci vuole tempo, bisogna prendere il passo e il ritmo, come fosse musica.
 
Da qualche parte ho letto che  un suo  traduttore americano, ha detto «ho sempre avuto l’impressione che Murakami scrivesse per me ».
 
Infatti ci sono libri, magari bellissimi, che leggi e dimentichi e ce ne sono altri che ti parlano, come fossero amici di ritorno da un lungo viaggio. E tu li ascolti, incantata.
  

It’s a Barnum anda Bailey world, just as a phony as it can be, but i wouldn’t be make-believe. If you believed in me (It’s only a paper moon)

  E’  un mondo da circo Barnum / Che più fasullo non potrebbe essere / Ma non sarebbe un’illusione / Se tu credessi in me

Buon compleanno maestro, chiunque ami la scrittura non può non apprezzarti

Segnalo infine una cosa interessante: un link dove si possono trovare racconti inediti pubblicati da vari traduttori, per chi volesse un assaggio di questo autore così particolare  

http://www.harukimurakami.it/text/inediti.htm

 

A come Anarchia. L’ispirazione e l’intuito

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Un po’ di tempo fa chiacchieravo con una persona che avrebbe – forse – dovuto essere l’editor del romanzo che stavo scrivendo. Riconosco che uno dei miei difetti (che erroneamente di solito è considerato un pregio) è l’umiltà, che equivale a riconoscere i propri limiti e spesso si traduce in insicurezza, far finta con se stessi di non essere all’altezza. Nel mio primo romanzo c’erano delle grandi ingenuità e pensavo che avrei potuto correggerle con l’aiuto di un occhio esterno e freddo, così avevo pensato che me ne sarei avvalsa per il secondo. Sebbene resti convinta che la scrittura è un atto solitario(uno dei motivi per cui ci sono arrivata con l’età matura) mi intrigava l’idea di un rapporto dialettico che servisse da pungolo e stimolo nell’approfondimento, nel mantenere la visione d’insieme che, navigando tra la parole, mi fa diventare vascello nelle maree, poiché subendone il fascino tendo a perdermi. Dunque era importante trovare una persona con la quale avere feeling e con quella persona c’era.

Poi qualcosa mi ha frenato. Un evento inconscio credo, che solo successivamente ho compreso, dal momento che è poi l’intuito che mi governa è quello che sceglie per primo. Il “mio editor” insisteva sul fatto che io dovevo avere un piano di scrittura, dovevo prima delineare bene la storia, avere un’idea dei capitoli con relativi avvenimenti e, soprattutto, un’idea precisa dei personaggi, perché dovevo essere io a guidarli e non lasciare che essi avessero il sopravvento. Ed io, con la mia umil natura, ascoltavo attenta (ma l’attenzione per me è  finzione,  un lusso che la velocità dei miei pensieri, mio malgrado, non mi concede). Mi convincevo che aveva ragione, che l’atto creativo non basta, ci vuole tecnica.

Però poi,visto che sono una falsa insicura, dopo averci provato ho lasciato perdere e il dannatissimo intuito mi ha portato in un’altra direzione: dritta al centro del mio pensiero anarchico, nel magma del sentire dal quale fuoriescono ombre e storie.

Oggi per caso mi è capitato di leggere un pensiero di Calvino “Nell’ideazione d’un racconto la prima cosa che mi viene alla mente è un’immagine che per qualche ragione mi si presenta come carica di significato. Appena l’immagine è diventata abbastanza netta nella mia mente, mi metto a svilupparla in una storia, o meglio, sono le immagini stesse che sviluppano le loro potenzialità implicite, il racconto che esse portano dentro di sé. Attorno a ogni immagine ne nascono delle altre, si forma un campo di analogie, di simmetrie, di contrapposizioni. Nell’organizzazione di questo materiale che non è più solo visivo ma anche concettuale, interviene a questo punto anche una mia intenzione nell’ordinare e dare un senso allo sviluppo della storia. Nello stesso tempo la scrittura, la resa verbale, assume sempre più importanza; direi che dal momento in cui comincio a mettere nero su bianco, è la parola scritta che conta: prima come ricerca d’un equivalente dell’immagine visiva, poi come sviluppo coerente dell’impostazione stilistica iniziale, e a poco a poco resta padrona del campo. Sarà la scrittura a guidare il racconto nella direzione in cui l’espressione verbale scorre più felicemente, e all’immaginazione visuale non resta che tenerle dietro”.

Che dire? forse dovrei cominciare a prendermi sul serio. Quando la sera, in modo particolare, prima di andare a letto mi chiudo in bagno, ebbene, quello è il luogo dove perdo la cognizione del tempo, dove il pensiero si assenta e le giornate con i loro carichi si azzerano. E ho scoperto che non è una mia stranezza “Inoltre il bagno deve essere sempre libero. Il bagno è un luogo sacro per pensare e riordinare appunti” (dal blog minima@moralia, L’arte della guerra di carta e inchiostro, di Cosimo Argentina). Meno male!

Nell’ultimo periodo mi hanno fatto visita un pensionato in una sala d’aspetto di un ambulatorio medico, una donna di mezz’età artista della bugia e tre ombre ancora poco chiare: un’aspirante suicida alle prese con due uomini morti suicidi (ma dialogano ironicamente in un luogo surreale)

Lascio a loro il compito di farsi strada e impossessarsi di me, io mi limiterò a seguirli e, quando  non ne potrò più e dovrò liberarmene, ne scriverò.

L’immagine è Ivan Aivazovsky,  Ship in the Stormy Sea, (1887)

La scrittura è tiranna

imagesÈ lì che aspetta, proprio come l’ho sempre immaginata, mi intimorisce. È avvolta nel fumo di una sigaretta nella penombra di un bar dove tutto è in bianco e nero. Aspetta, sorseggiando lentamente da un bicchiere. Sono in soggezione, ormai non posso più nascondermi, non posso tornare indietro, non posso fuggire. Lei mi vede. Solleva la testa. Ha lo sguardo  duro del rimprovero

“Eccoti finalmente. Ce n’hai messo di tempo.” La sua voce è metallica, sottile.

Annuisco. Imbarazzata. Lei lo percepisce e  mi dice:

“Tranquilla, tanto t’avrei aspettata comunque.”

L’ho sempre saputo che così doveva essere.

“Non avere timore, avvicinati, siediti qui, bevi qualcosa insieme a me ti farà bene. Rilassati, lo sai che ormai non puoi più andare da nessuna parte.” Sorride languida, sicura di sé. Mi ha preso nel sacco, mi terrà in pugno da questo momento in poi.

Lei sa tutto di me. Io so tutto di lei.

“Lo so, non avresti voluto trovarmi, mi hai evitata perfino quando ero a un palmo di naso. Ma io sono sempre stata qui dove sono, dove hai sempre saputo anche tu. Ti ho aspettato paziente. “

Vorrei dire lo so, ma vorrei dire anche non lo so. Non so se voglio stare qui, se voglio seguirla, se voglio sedermi accanto a lei. C’è odore di chiuso. Quant’è che non cambiano l’aria in questo posto. Quant’è che non aprono le finestre?

“So cosa stai pensando : sei ancora incerta. Ti senti in trappola. Ma se  stavolta hai varcato quella porta è perché sapevi di trovarmi, come sapevi ti avrei braccata, come sai che non puoi più scappare. Oh sì…  certo, lo so cosa stai per dire…. pensi ancora di avere  più gambe che testa! Ma vedi,arriva un momento, prima e poi, in cui quelli come te finiscono per avere le gambe nella testa. Il mondo è stato divertente da viaggiare con i suoi mille luoghi eccitanti, gli uomini interessanti, le donne affascinanti, gli incontri e le impressioni. Ma sapevi anche tu che presto o tardi ti saresti fermata a osservare.  Il momento è arrivato. È adesso: non avere paura. Siediti. E comincia.”

Mi ha messo in mano un quaderno a righe, e un lapis, perché scrivendo a lapis le parole scivolano più agili. Sapeva anche questo.

“Adesso vai. Puoi partire”

Ha spento la sigaretta, ha bevuto l’ultimo sorso. È rimasta a osservarmi, con un malcelato sorriso beffardo. Il sorriso di chi sa di aver vinto.

Guardo dalla finestra e all’improvviso vedo il sole. Mi chiedo – e non so perchè – quando è stata l’ultima volta che ho fatto l’amore. Poso il lapis sul foglio bianco. Sento il suo sguardo severo che vigila addosso. Le gambe nella testa cominciano a muoversi, il lapis a scrivere.

Non ho più scampo.

Volando

stormi

E se tutti i libri tornassero indietro sotto forma di uccelli, qui, a volare: quante ali ci sarebbero? Quale prenderei? Che spettacolo sarebbe? I libri che ho amato, quelli che ho detestato, quelli che mi hanno cambiato la vita, quelli che mi hanno segnato, quelli che sono semplicemente scivolati via senza lasciare traccia, quelli che ho riletto.
Ricordo perfettamente la prima volta che ho letto un libro: avro’ avuto dieci anni ed era un piccolo libriccino figurato, la prima storia dopo le fiabe, si chiamava Lodoletta. Non ricordo niente della trama, ma ricordo la mia avidità: feci finta di star male per non andare a scuola e rimasi seduta sulla piccola sedia di paglia in cucina con mia madre che sfaccendava intorno, ma io non la sentivo, ero altrove. Ho ricominciato a sentire i rumori intorno solo dopo averlo finito. Ed è stato così che ho cominciato a leggere. Credo fosse per sentirmi altrove. Ecco perchè amo ancora Piccole Donne  o I ragazzi della via Paal: perchè mi hanno fatto amare la carta, le storie, la fantasia, gli incontri; mi hanno reso curiosa. Quando mi stendevo sul lettone dei miei, magari fuori il tempo era brutto, le voci rimanevano in sottofondo, e io sparivo, non c’ero, andavo via, per ore, frequentavo altri mondi. Mi infilavo nelle pagine e ne uscivo solo dopo aver fatto mia tutta la storia. E piangevo, e ridevo, e tremavo, e pensavo.

Come educare alla lettura? Al di là dei dibattiti che si parlano addosso, credo che la lezione sia solo una: emozionarsi. Se un libro non ti emoziona è inutile, come certe storie d’amore. In amore se ti annoi devi fuggire via, annusare il pericolo. E così è per i libri.

Quindi – essendo un’insegnante – l’unica cosa che faccio è leggerli ad alta voce, leggerli insieme, e poi si vedrà. Se sarà amore o noia.

Gli uccelli sulle ali portano immaginazione, poesia, rabbia, amore, fantasia, realtà e tutto quello che c’è. Mondi e chiavi per aprirli e comprenderli.

Ci sono perfino i libri delle coincidenze, quelli davvero importanti, quelli che non scegli, che ti arrivano addosso come sassi lanciati, e ti lasciano un segno indelebile.

Ad esempio Vicino al cuore selvaggio di C. Lispector, che mi ha regalato un indissolubile rapporto di amicizia e la certezza che io e lei saremmo state diverse, come è stato nella realtà.

Come La scarpa sul tetto, di V. Delacroix, né un regalo né un acquisto, ma uno squarcio sulla tela arrivato da non so dove a ferirmi e dirmi qualcosa che non avevo mai capito.

Come Una scrittura femminile azzurro pallido di F. Werfel che racconta la storia di un “cuore guasto”:
“Leonida sa con chiarezza indicibile che oggi gli è stata inviata un’offerta di salvezza, oscura, sommessa, irresoluta, come tutte le offerte di questo genere. Sa di non essere stato capace di raccoglierla. Sa che a questa non faranno seguito altre offerte.”

I libri sono occasioni: se le perdi non ne avrai altre.

Per questo grazie a chi manda questi uccelli per il mondo e a chi li regala, a volare liberi e posarsi ogni tanto su una spalla come una pacca, o dentro lo stomaco come un coltello, o su una guancia come una carezza.

Dovrei….?

Nelle ultime settimane ho completamente dimenticato di aver scritto un libro che circola… L’ambizione non è mai stata il mio forte…

Poi pero’ mi arriva un messaggio come questo… ed ecco che mi ricordo che questa è pur sempre la mia creatura e che dovrei averne piu’ cura… Grazie a chi me l’ha ricordato,  grazie per le parole, grazie se vorrai dare la tua unica voce alle voci che sono raccontate…

Cara Daniela, il tuo libro è emozionante, coinvolgente, commovente, emotivamente conturbante e dannatamente femminile. La scrittura è poesia in prosa, con brani da citazione letteraria di altissimo spessore.
Grazie dell’esperienza. Merita di essere letto e promosso.

Commento al libeccio di Margherita

Cominciamo dalle cose facili: la tua descrizione dell’Amore è la più bella fra quelle che mi è capitato di leggere.
Sarà perchè è scritta da una donna, sarà che ho una percezione diversa da quella dell’uomo “medio”, mettila come vuoi ma l’ho trovata bellissima.
C’è tutto: l’odore, il sapore, il sudore, il tatto, la preparazione, la sensazione dell’ineluttabilità dell’orgasmo….madonna che bello!  Tutte cose “fisiche” e neanche un accenno di “pornografia”, nessuna
sensazione di “spiare” chi fa l’amore, ma anzi una sensazione fortissima di esserci dentro!
Chiunque abbia fatto l’Amore almeno una volta nella vita si riconosce sicuramente in quei paragrafi e rimane stupito del fatto che qualcun’altro, sconosciuto, possa sapere così precisamente come
sia andata!
Ho letto tre volte quelle due pagine centrali provando sempre sensazioni fortissime…. E trattandosi di letteratura e non di una scopata considera questo come il più bel complimento che io possa farti.
Ma ancor più meraviglioso è il modo nel quale hai usato queste pagine, esprimendo il dolore di una violenza tramite una sintesi sottrattiva.
Neanche una riga di descrizione delle violenza, non un graffio, non una goccia di sangue, non una lacrima. In cambio c’è quella descrizione magnifica di una cosa che, a causa della violenza, non sarà mai più possibile vivere in quel modo.
E questo fa male ugualmente, forse anche di più, ma non compiace la parte “malata” che è dentro di noi, che potrebbe essere capace di trasformarci in mostri che riescono a godere del dolore altrui.
O peggio, che godono nel vederlo infliggere.

Brava!

Marcello

Commento amato

l tuo libro mi ha preso, tanto che la seconda parte l’ho letta senza fermarmi. Mi è piaciuto molto, tanto, e in ogni storia ho trovato un pezzo della storia di molte donne.Ci sono descrizioni molto delicate, e una che è molto forte.c’è dentro tanta sofferenza, soprattutto sofferenza di donne non capite, non amate…di donne possedute dal vento e non trasportate dal vento; di donne molto egoisticamente amate e di donne che hanno amato, ma non amate e corrisposte…del dolore e dell’amore della donna mamma non si può parlare, perchè quello è indiscusso e assoluto ed è descritto in maniera emozionante!c’è tanto della vita , dei sogni,  delle verità nascoste e negate…per questo il vento… leggero, pesante, impetuoso, che trasporta…a volte fastidioso, fortemente intrigante….a volte piacevole…a quando il prossimo? io t’invito a scrivere…lo fai benissimo…convinci e nello stesso affascini!
Lilia

Creatura imperfetta

Credo infatti che il libro che ho scritto lo sia: una creatura imperfetta.

Non c’è un commissario, un omicidio, assassini, mondi esoterici, alcun giallo da risolvere, niente paranormale, non scorre sangue, non ci sono enigmi (anche se gli inganni sono molti) nessun mostro e molti mostri…

Insomma… una noia mortale!

Non ho inseguito la trama ma ho seguito la parola e questo credo lo renda una creatura “meravigliosamente” imperfetta, e se emoziona vuol dire che è ancora possibile emozionarsi con le storie e le parole: quelle vissute e quelle da vivere, quelle ascoltate e quelle ancora da ascoltare, quelle raccontate e quelle ancora da raccontare.

Perchè alla fine è cosi’ che siamo tutti: creature meravigliosamente imperfette.

Ringrazio cosi’  quelli che mi hanno comunicato d’essersi soprattutto emozionati

Il vento

Il vento soffia.

Ci sono venti impetuosi che spazzano via tutto,

e venticelli leggeri che accarezzano.

Ma ogni vento prima o poi si disperde e scompare.

Il vento non ha sostanza.

E’ solo un modo per definire lo spostamento dell’aria.

Ascolta attentamente, e capirai questa metafora.

(Kafka sulla spiaggia – Murakami Haruku)

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